RUBRICA La scimmia sulla spalla
Per cui ritorno al solito punto che mi pare la mia ossessione ormai: che bisogna dominare la modernità e non esserne dominati. (Tiziano Terzani)
I giovani d’oggi innegabilmente dispongono d’un accesso privilegiato e quanto mai migliorato rispetto alle generazioni precedenti, per via di molteplici aspetti di cui siete a conoscenza: primo di questi il vasto oceano nozionistico a portata di mano quale è internet. Ciò li rende, di sicuro, mediamente più istruiti.
Ma in questa storia agrodolce, che ha più di agro che di dolce, c’è un ma. Un enorme MA: appaiono mancare di identità.
Come se la volontaria somministrazione di un accumulo spropositato di ore passate allo smartphone fosse in grado di depersonalizzare l’individuo, strappandogli dalla scatola cranica e dalla gabbia toracica quei tratti assoluti dell’Io.
Parte di questo regresso lo attribuisco a questa smania di velocità. Tutto. Subito. Non c’è tempo.
E su queste basi si sono fondati gli imperi di Amazon, Netflix, Spotify, Instagram, Facebook e la stragrande maggioranza dei quotidiani online. Non ha alcuna importanza la qualità del prodotto, l’attendibilità assoluta della notizia, è necessario esserci subito, prima degli altri. Ed è quindi una gara a chi corre più veloce; il ritorno a un Futurismo imbestialito. Mi viene in mente La città che sale di Umberto Boccioni: il cavallo che travolge i più e quel senso di impotenza generale perché qualcosa di più forte è esploso.
Tom Waits, in un ormai lontano dicembre 2006, durante un’intervista, rilasciò queste dichiarazioni: “La cosa strana della televisione è che la possibilità di cambiare canale così in fretta ti fa venire voglia di fare lo stesso ogni volta che qualcosa ti annoia, fosse anche tua madre o un’insegnante. O persino leggere un libro. Adesso voglio delle immagini! Sono stanco delle parole!”.
Moltiplichiamo le infinte possibilità di uno smartphone a discapito di quelle di una televisione e la frittata è fatta: fatta e disfatta. Se la TV negli anni passati aveva il potere di rincoglionirci per quelle 4,5,6 ore passate a guardarla, cosa può fare un aggeggino migliaia di volte più funzionale?
Che l’obiettivo del modello capitalistico e della sproporzionata turboglobalizzazione fosse quello di uniformare un pensiero unico, già lo si prospettava in tempi remoti.
Certo è, che imponendocelo, sarebbe stato alquanto indigesto; avrebbe mosso fin da subito un movimento ostinato e contrario.
Per convincerci è risultata sufficiente la classica pastiglia avvolta nell’involucro di prosciutto crudo di Parma.
Avessero chiesto al sottoscritto di autoschedarsi o di censire ogni informazione, foto personale o spostamento MAI avrei pensato di farlo e avrei gridato seduta stante alla rivoluzione. Ma… rullo di tamburi… è arrivato Facebook, l’innovativo e globalpopolare modo per tenerci in contatto sempre e subito.
Al punto tale che siamo arrivati ad AVERE, a VOLERE, a DISPERARE lo stesso taglio di capelli, gli stessi libri, le stesse t shirt, la stessa marca di scarpe. Un’identità e un flusso di pensiero catalizzato.
Una massa indistinta di esseri che uniti paiono una melma grigiastra.
La soglia di attenzione è al minimo storico, un cervello che va adattandosi a nuove e diverse esigenze: a una realtà schermata e a un’inutilità di rincorrere passioni e utopie da cassetto.
Una velocità che non lascia spazio al raccoglimento personale e a quei catacombali silenzi che formano lo spirito e temprano gli ideali.
Eternamente connessi da mattina a sera, da sera a mattina.
Lo Zio Sam 3.0, giorno dopo giorno, sta arruolando innumerevoli flotte di baldi giovani abbacinati dalla più potente e catastrofica arma di DISTRAZIONE di massa.
A seguire, la definizione di Memoria Volatile (termine relativo al mondo informatico): La memoria volatile è una memoria che, a differenza della memoria non volatile, necessita dell’alimentazione elettrica continua al fine di mantenere memorizzate le informazioni. Questo tipo di memorie sono anche note come memorie temporanee.
Traetene le vostre considerazioni personali.
Sto scrivendo queste righe al bar, considerato dai più il mio ufficio; davanti a me una coppia di circa trent’anni. Sembrano affiatati. Non so di chi dei due, la bambina assieme a loro, sia la figlia. Hanno ordinato una bottiglia di vino rosso vivace. Se la ridono e i loro occhi di marmellata si incrociano. La bambina è tranquilla, non si annoia affatto; il suo viso azzurro, illuminato dal display dello smartphone la ammansisce e chissà in quale turpe universo la sta catapultando. Avrà si e no cinque anni. Sono passate ben due ore e la coppia ha ordinato altri due calici di vino; la bambina è ancora tranquilla, assuefatta dal telefono cellulare.
E mi domando cosa accadrebbe in sala se la bambina anziché il telefonino stesse anche lei brandendo un bicchiere di vino. Sarebbe giustamente uno scandalo e più d’un commensale si alzerebbe per chiedere spiegazioni e interromperne il gesto. Qualcuno avrebbe già composto il numero dei servizi sociali in preda a una isterica crisi di nervi.
Creerebbe scompiglio, non è vero?
Ma la domanda è un’altra. Arriverà mai il giorno in cui capiremo che in un cervello in una delicata fase di sviluppo, i danni provocati a una sovraesposizione da telefonino, sono parimenti dannosi?
Per cui ritorno al solito punto che mi pare la mia ossessione ormai: che bisogna dominare la modernità e non esserne dominati. (Tiziano Terzani)
Riccardo Bonsanto