La commissione lavoro del Comune di Torino accogliendo il disagio dei lavoratori Comdata ha chiamato in audizione prima i sindacati e quindi l’azienda. Si attende ancora invece pari iniziativa del Comune di Ivrea già richiesta dai lavoratori.
Su sollecitazione dei sindacati Cobas e CUB presenti in Comdata Torino che hanno denunciato condizioni lavorative critiche nella sede torinese, ma anche in quella di Ivrea, si è svolta un’audizione in Commissione Lavoro del Comune di Torino con ordine del giorno: “Comdata, criticità occupazionali relative alle sedi di Torino e di Ivrea”.
I principali problemi sollevati dai sindacati di base sono stati:
- criticità sulla formazione, in particolare per il personale dipendente al quale viene proposto lo strumento della cosiddetta “formazione a gettone”, cioè fuori dall’orario di lavoro.
- preoccupazione per le delocalizzazioni sulle quali l’azienda non fornisce informazioni su logiche imprenditoriali e attività oggetto di spostamento all’estero.
- pressioni all’esodo nei confronti di personale con contratti a fasce orarie fisse o con maggiore anzianità aziendale e quindi meno flessibili e più costosi rispetto a nuovi assunti.
“Abbiamo avuto pochi mesi fa un chiaro esempio di questo comportamento con il trattamento riservato ai lavoratori con esenzioni dalla risposta telefonica delle sedi di Ivrea e di Torino ai quali è stata prospettata la chiusura dei loro reparti e in un caso il loro trasferimento in altra sede e nell’altro l’invito a uscire dall’Azienda con un risibile incentivo. Tali pressioni hanno in alcuni casi portato a dimissioni volontarie. A oggi quelle attività e quei reparti sono ancora in essere in entrambe le sedi a dimostrazione di come le asserite necessità riorganizzative aziendali spesso sottendano il malcelato scopo di ridurre il personale.”
Ma i punti critici portati in commissione lavoro non sono finiti, si aggiunge infatti:
- la continua richiesta di disponibiltà a ridurre il proprio orario lavorativo (e quindi il salario) in cambio della concessione di turni con orari agevolati, “in una inaccettabile logica di baratto tra qualità di vita e retribuzione“.
- l’eccessivo ricorso al part time come unica forma di assunzione.
- le costanti pressioni di fruizione di permessi e ferie per far fronte a improvvise rimodulazioni orarie dei reparti per variazione dei flussi delle chiamate, dimenticando che ferie e permessi sono istituti volti al recupero psico-fisico del lavoratore e non “uno strumento di ulteriore flessibiltà nella disponibiltà dell’azienda“
- il ricorso strutturale e sistematico a centinaia di lavoratori in regime di somministrazione sia sulla sede di Torino sia più massivamente su quella di Ivrea.
La risposta dell’azienda
Il responsabile delle risorse umane e quello delle relazioni industriali, hanno in buona sostanza addebitato tutti i disagi alle caratteristiche proprie del settore, a partire dalla flessibilità richiesta negli orari. Comdata ha circa 500 aziende clienti, ognuna con sue specifiche esigenze di orario, tempi e livelli di servizio. In Italia i dipendenti delle 19 sedi sono circa 11.000 (42.000 in tutto il mondo) di cui 7.200 a tempo determinato il restante interinale e collaboratori commerciali. Negli ultimi tre anni Comdata ha anche acquisito diverse aziende vicine al o in fallimento, come la Infocontact di Rende (273 dipendenti) e la People Care di Livorno (163 dipendenti). Per questo i due responsabili aziendali hanno parlato di “necessità operative” in merito ai trasferimenti di sede o alle modifiche degli orari repentine. Anche sulla critica per l’eccessivo uso dei contratti di somministrazione, quelli dove lavori qualche ora al mattino, poi forse nel pomeriggio e chissà domani, quelli che possono avere durata di tre giorni, insomma lo schiavismo moderno, Comdata risponde che è imputabile alle caratteristiche del comparto dove in un momento hai code di telefonate e un attimo dopo il silenzio totale e non puoi mica pagare qualcuno per stare in ufficio a far nulla … Il problema in Italia è più sentito – dicono i dirigenti Comdata – perché a differenza degli altri paesi dove fanno questo tipo di lavoro studenti per raggranellare qualche soldo o persone che vogliono proprio lavorare solo poche ore al giorno (un po’ come era anche in Italia agli inizi dei call center), in Italia in molti territori il lavoro in call center rappresenta l’unica possibilità di lavoro. “Non possiamo farci carico del problema occupazionale del paese”, dice il responsabile del personale.
Questo no, ma forse Comdata potrebbe, proprio grazie alle sue dimensioni, fare di più nella direzione del clima aziendale, dell’ascolto e gestione delle criticità e fragilità delle persone, ed evitare azioni vessatorie e pressioni psicologiche. Perché va bene che il cliente ha sempre ragione, ma il dipendente non ha sempre torto!
E’ il modello da cambiare
Esattamente un anno fa pubblicavamo alcune riflessioni sul mondo dei call center nell’articolo “Imbarbarimento“. Rileggendolo, l’amarezza cresce perché nulla è intervenuto nemmeno per far solo sperare in un miglioramento delle condizioni di lavoro di chi deve essere sempre a nostra disposizione al telefono per qualsiasi bisogno, spesso per nulla urgente.
Il problema rimane infatti nel modello di lavoro e società che si è instaurato, senza calcolare le conseguenze sulla vita sociale e individuale dei lavoratori.
Oggi un’azienda medio-grande non può non avere un contatto telefonico da offrire ai propri clienti, spesso un numero gratuito, ma altrettanto di frequente invece un numero a pagamento (899 o altri) in una fascia oraria ben più ampia del normale orario di lavoro. Ad esempio la società Juventus Football Club Spa ha un numero a pagamento dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 22 e il sabato dalle 10 alle 14. Oppure il servizio, sempre a pagamento, dell’ENI per comunicare la lettura del contatore è disponibile dalle 8 alle 22, 7 giorni su 7.
Ma veramente non possiamo comunicare con il fornitore del gas o dell’energia elettrica in normale orario di ufficio “dalle 9 alle 17 orario continuato” come titolava un divertente film del 1980?
Tolti i servizi di emergenza, neanche da dire, non potremmo permettere a chi fa già un lavoro stressante come quello di ascoltare i problemi e le lamentele di utenti e clienti di ogni tipo, di poter avere una vita regolare? Poter passare in un ufficio pubblico (questi sì tutti rigorosamente aperti solo in strette fascie orarie e spesso mai di sabato), poter accompagnare un figlio all’asilo e poterlo andare a riprendere, passare in un negozio, la sera cenare insieme in famiglia, dormire a casa anziché essere in ufficio per turni notturni non di emergenza, insomma cose così niente di straordinario.
Cadigia Perini