Per la sua rubrica CONTRONATURA Diego Marra affronta il tema del maltrattamento degli animali partendo dalla lettera di un’animalista contraria all’uso dei cavalli durante la Battaglia delle Arance d’Ivrea
Come ormai accade annualmente, allo scoccare della fatidica data carnascialesca, qualcuno si perita di scrivere ai mezzi d’informazione (sì, anche a varieventuali!) esprimendo scoramento e disappunto per il “maltrattamento” dei cavalli durante la storico getto delle arance. Ugualmente accade per la corsa delle galline di Piverone, ma anche per il ben più mediatico “Palio di Siena”. Premetto che l’argomento non mi appassiona, poiché sede di opposti preconcetti e rigide posizioni ideologiche, ma proviamo a rispondere all’accorato appello ricevuto, in vero un po’ sconclusionato e lievemente offensivo, perché mischia impropriamente le “sevizie” subite dagli equini con le ingiurie fisiche provocate negli umani dalla “feroce” battaglia. Del resto la scrivente difende gli animali e anche gli esseri umani sono animali; in vero qualcuno potrebbe essere definito bestia, nell’accezione di persona rozza, violenta e ignorante. E proprio qui sta il punto: se qualche imbecille colpisce i cavalli, tira cubetti (non di porfido, ma di diorite), si ubriaca provocando risse e litigi, non sarà colpa della manifestazione, ma della bestialità di, non pochi, individui. Forse chi ha scritto la lettera non ama il carnevale! Condivido, neppure io amo il carnevale, ovvero non mi piace ciò che è diventato il carnevale di Ivrea: da festa popolare e trasgressiva si è tramutato in manifestazione prettamente commercial-turistica, irregimentata in mille regole, dove è finita l’eterodossia della festa?
Comunque se il problema è il carnevale, è sufficiente enunciarlo senza pretestuosi confronti tra cavalli maltrattati e feriti “al fronte”. Avrete capito che la lettera giuntaci mi è parsa perlomeno cavillosa.
Riporto alcuni spunti di riflessione sugli stretti rapporti tra esseri umani ed altri animali; a voi giudicare quanto si configurino atti seviziatori nei confronti degli equini eporediesi. In primo luogo, mi schiero dalla parte degli animalisti nei confronti degli allevamenti intensivi che trattano esseri viventi come merci, o peggio, solo per soddisfare l’assurda bulimia proteica di una parte dell’umanità.
Passiamo poi alle note più strettamente ecologiche. Se un naturalista alieno avesse visitato il pianeta 100.000 anni fa per catalogarne le specie viventi, avrebbe scoperto che le forme di vita dominanti erano batteri, ma da allora nulla è cambiato. Tra le creature che chiamiamo animali sono gli insetti a detenere il primato di abbondanza e varietà. Tra i vertebrati sono gli uccelli a distinguersi in tal senso. I mammiferi recitano un piccolo ruolo nella biodiversità ed il primato nella classe spetta ai roditori. Nessuno, però, pensa di difendere gli insetti: ci fanno schifo o ci infastidiscono. Ho un debole per la bellezza e varietà degli insetti, anche se faccio una deroga distruggendo spietatamente alcuni ditteri fastidiosi (tipo zanzare).
E le piante? Sono al secondo posto dopo i batteri nella composizione della biomassa terrestre, ma nessuno le ritiene degne di riguardo etico. Già, le piante non soffrono, si dice. Peccato che recenti studi, anche italiani del fisiologo vegetale S.Mancuso, ci dicano che i vegetali hanno sensibilità finora insospettabili.
Spesso chi difende gli animali si concentra su quella minima frangia di addomesticati che accompagnano le nostre esistenze (cani, gatti, bovini, cavalli, ecc.), trascurando gli animali che vivono allo stato libero e mai si preoccupano degli invertebrati (tipo insetti).
Ripeto, a scanso di equivoci, che sono assolutamente allineato contro le sevizie sugli animali non umani anche se addomesticati; verso l’animale uomo a volte ho dei dubbi! Il processo di domesticazione fu molto complesso e, semplificando, si può affermare che molti animali abbiano attivamente promossa la loro domesticazione, poiché comportava notevoli vantaggi nel loro successo evolutivo, accettandone gli svantaggi.
Non posso dilungarmi sull’argomento, se volete saperne di più leggete “Addomesticati” del neurobiologo R.C.Francis; è un po’ tecnico, lungo e richiede una base di conoscenze biologiche. Ma informarsi è faticoso!
I cavalli devono la loro sopravvivenza all’uomo. Circa due milioni di anni fa erano un numeroso gruppo di specie che abitava soprattutto nelle praterie del Nordamerica, alcuni migrarono nel Vecchio Mondo tramite il ponte di terre emerse dello stretto di Bering che allora, a causa delle glaciazioni, era un istmo. Nelle steppe asiatiche migrò anche il tarpan (Equus ferus), ritenuto il progenitore dei cavalli domestici. Intanto, nel Nuovo Mondo i cavalli scomparvero circa 10.000 anni fa, per tornarvi solo con Colombo e i conquistatori spagnoli. Al termine delle glaciazioni le praterie, e con esse i cavalli, subirono un progressivo declino; intorno al 6.000 a.C. le uniche popolazioni rilevanti che vivevano nelle steppe eurasiatiche, ancora vaste, erano la fonte principale di proteine per alcuni popoli. Forse il cavallo sarebbe scomparso dalla scena evolutiva se l’uomo non lo avesse addomesticato provocandone una esplosiva differenziazione in razze; eleganti purosangue, robusti cavalli da tiro, piccoli pony, solo per citarne alcuni, derivano tutti dall’Equus ferus che oggi è scomparso. Allora: chi più ha guadagnato dalla domesticazione? Il cavallo che non si è estinto o l’uomo che lo usa e che spesso anche lo ama? Dal punto di vista biologico la risposta è univoca, dal punto di vista etico… fate voi.
Diego Marra