A quattro anni dalla fine del mondo
Ce ne parlarono fino allo sfinimento del 21 dicembre 2012, fatidico giorno in cui tutto sarebbe finito per sempre, assopendo il nostro rapido sciamare di esseri dotati d’un buon intelletto (spesso usato male) e d’infiniti sentimenti da elargire (ancor più spesso, usati peggio).
A quattro anni dalla scampata Apocalisse, al bofonchiar di voci altisonanti su notizie scandalistiche e gossip mondano, mi viene da pensar quale possa essere l’ultimo saluto, in musica, vorrei fosse nell’esplosione di energia, causa della nostra dispersione nel cosmo. E, a questa mia idea, ho voluto rendere partecipe anche due care amiche, brave scrittrici e ottime ascoltatrici musicali dai gusti raffinati: Nadia e Anna.
Così, da buon gentiluomo quale sono, comincio da loro. La domanda è questa: quale canzone vorresti ascoltare per l’ultima volta, fossi al corrente che, tragicamente, non ci possa davvero essere via di scampo alla fine del mondo? E perché?
NADIA: Vorrei ascoltare “L’isola che non c’è” con la speranza che il mio spirito, seguendo la seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino, possa trovare l’isola senza santi ne eroi, senza ladri e senza guerra. La canterei a squarciagola, fino all’ultimo respiro. Rivivrei così la gioia provata quella sera di alcuni anni fa quando la cantai, con mio marito e mio figlio, a pochi metri da Edoardo, al concerto tenuto a Settimo Rottaro. Con quel pensiero leggiadro nel cuore forse sarebbe più facile accettare l’amaro calice.
ANNA: Mi è stata posta una domanda tremendamente difficile: qual è l’ultima canzone che vorresti ascoltare prima della fine del mondo?
Non nascondo di averci pensato parecchio, non è banalmente il solito “qual è la tua canzone preferita?”
Nemmeno la risposta a quella domanda è tanto semplice – non fraintendetemi – ma almeno l’hai preparata. Sì, a questo tipo di domande ci si prepara. Perché c’è sempre qualcuno che te le rivolge.
Ma questa, questa è di gran lunga più complessa. E non puoi trovar risposta tra le tante già confezionate precedentemente. Per cui ci pensi. E ti chiedi:che canzone vorresti ascoltare mentre guardi il sole implodere come una grossa supernova e cancellare la Terra per sempre? Che canzone vorresti passasse alla radio mentre dal finestrino della tua auto vedi una pioggia di meteoriti che, come stelle cadenti in una notte di metà agosto, si abbattono sulla Terra e la distruggono? Che canzone vorresti canticchiare nel momento in cui tutto finisce? Provate a rispondere a queste domande e pensare ad alcune canzoni, le prime che vi vengono in mente. Le avete escluse dopo pochi secondi, non è così? Sono tutte maledettamente piene di vita e speranze per il futuro. Ci dicono di non mollare, di tenere duro perché “verranno tempi migliori” in cui le nostre fatiche saranno ricompensate, il nostro amore corrisposto, i nostri dolori guariti. Forse è questa la vera ragione della mia difficoltà nel rispondere a questa domanda. Quale cantante ci direbbe mai di smetterla perché tanto è inutile, di arrendersi, di mollare perché, in fin dei conti, “vince chi molla”, chi non si aspetta più nulla, chi sa che non ci sarà più un nuovo sole a sorgere l’indomani? Nessuno, vero? Eppure ce n’è uno: il cantautore italiano Niccolò Fabi, che ho scoperto per caso quest’estate ad un concerto – ironia della sorte – non suo. E’ una canzone del suo ultimo album dal titolo “Vince chi molla” che vorrei come colonna sonora della fine di tutto. Un brano molto semplice e breve, ma che nella sua impressionante esilità racchiude un senso potentissimo: ogni cosa ha una fine e quando arriva quel momento, il momento di andarsene, bisogna semplicemente accorgersene e, senza tentare di aggrapparsi a nulla, finalmente mollare. Non ha senso trattenere niente, ci dice, per ogni tipo di viaggio è meglio avere un bagaglio leggero. Vorrei che fosse proprio con questa canzone, di una schiettezza disincantata e una calma imperturbabile, che passassero i titoli di coda della mia esistenza. Così, senza nessuna speranza, solo con la consapevolezza di essere più leggeri nell’affrontare qualsiasi cosa ci aspetti dopo.
RICCARDO: A me, sarebbero sufficienti 4 minuti e 15 secondi; intervallo che impiegherei nell’ascolto di una delle più belle canzoni, a mio parere, di sempre: “C’è tempo” di Ivano Fossati. E l’ascolterei con gioia anche se tempo, come lo intendiamo noi, non ce ne sarebbe più a disposizione. Mi godrei i miei ultimi attimi come quando si gusta l’ultimo boccone della torta al cioccolato preferita. Leverei di torno angoscia, pessimismo, odio, rancori, abiti e maschere che abbiamo indossato nel nostro grande ballo. C’è tempo, è un inno solenne alla vita. Così, saluterei essa. “L’istante in cui scocca l’unica freccia / che arriva alla volta celeste / e trafigge le stelle / è un giorno che tutta la gente / si tende la mano / è il medesimo istante per tutti / che sarà benedetto, io credo / da molto lontano”.
Nadia Schmidt, Anna Tamburrino, Riccardo Bonsanto