Paolo Flores d’Arcais su MicroMega il 25 febbraio 2017
La Regione Lazio ha indetto un concorso per due-medici-due che garantiscano il diritto delle donne all’interruzione alla gravidanza, e si è scatenata la vandea clericale, Conferenza episcopale punta di diamante e canea bigotta al seguito. Eppure oggi quel diritto per ogni donna, introdotto per legge nel 1978 (39 anni fa!) è larghissimamente negato: su scala nazionale i medici che si rifiutano per obiezione di “coscienza” sono il 70%, in molte regioni il 90% e oltre. Gli aborti clandestini sono ripresi, e perfino i viaggi per abortire all’estero. Le due-assunzioni-due, sacrosante, sono una goccia nel deserto.
In realtà l’unico modo per assicurare il diritto delle donne a interrompere la gravidanza (nelle circostanze previste dalla legge) è l’abrogazione dell’obiezione. Obiezione che nel caso dell’aborto aveva una giustificazione solo per medici e infermieri (e specializzandi in ginecologia) che fossero già tali al momento dell’entrata in vigore della legge. Erano infatti entrati nella professione quando il diritto della donna all’interruzione della gravidanza non era riconosciuto. Ma da quel momento in poi (ribadito solennemente da un referendum) quel diritto faceva parte delle prestazioni che è doveroso garantire. La legge avrebbe perciò dovuto stabilire che da quella data in poi chi sceglie ginecologia (come medico o come infermiere) non può rifiutarsi di praticare aborti.
Sarebbe accettabile che il 70% dei medici (in alcune regioni il 90%) si rifiutasse di fare trasfusioni perché la religione dei Testimoni di Geova le reputa un delitto? Chi non le vuole fare scelga un altro mestiere. L’obiezione di coscienza ha una nobilissima tradizione, che nasce come rifiuto di prestare servizio militare obbligatorio in armi. Ma ovviamente sarebbe una pretesa assurda se riguardasse corpi armati non di leva. Chi decide di fare il poliziotto o il carabiniere sa che dovrà portare armi, e in determinate circostanze usarle. Se la cosa ripugna alla sua coscienza può fare l’impiegato del catasto, il contadino, l’operaio, il filosofo, il giornalista, il prete.
Tutte le professioni obbediscono a determinati doveri legali. Un giornalaio ha il dovere di vendere tutte le testate che abbiano la necessaria autorizzazione. Non può fare obiezione, rifiutandosi di distribuire quelle che ritenesse ripugnanti alla propria coscienza per motivi etici o politici, perché ne andrebbe di quel bene pubblico garantito a tutti i cittadini che è la libertà di stampa. Se non gli va bene farà un altro mestiere. E la libertà della donna di decidere sulla propria gravidanza (alle condizioni restrittive stabilite dalla legge) non è meno importante e meno non-negoziabile della libertà di stampa.
I correttivi delle assunzioni ad hoc o dell’obbligo per i medici obiettori di prestazioni gratuite in altro ramo sanitario (a dimostrazione che obiettano “per coscienza” e non per interessi di carriera), proposti dai cristiani di “Noi Siamo Chiesa”, sono positivi, ma poco più che pannicelli. L’unica soluzione è la coerenza di un’abrogazione dell’obiezione clericale che avrebbe dovuto essere stabilita già 39 anni fa.