La morte di Adil Belakhdim e la riscoperta del conflitto
Adil Belakhdim aveva 37 anni, era coordinatore dei Si Cobas di Novara. Venerdì 18 giugno è stato investito e ucciso da un camion che ha forzato un picchetto in un magazzino della Lidl di Biandrate, durante una manifestazione dei lavoratori del settore della logistica. Alla guida del camion c’era un uomo di 25 anni che lavorava per una ditta esterna alla Lidl. Bloccato dalla manifestazione dei lavoratori ha imboccato la corsia in ingresso contromano accelerando con il mezzo, travolgendo e uccidendo Belakhdim.
All’inizio di aprile i facchini in sciopero della TNT-FedEx di Piacenza, che protestavano contro la chiusura, avevano subito l’intervento della polizia contro i picchetti. L’intervento era stato richiesto da esponenti della Camera del lavoro locale (Il tavolo delle trattative non è mai rotondo, ma quadrato. Di qua o di là). A Tavazzano, vicino Lodi, l’aggressione a un altro picchetto dei lavoratori SiCobas lascia a terra numerosi lavoratori, uno in gravi condizioni. Scontri a San Giuliano Milanese. Ad andare indietro nel tempo, non è difficile riscontrare l’aumento di episodi di repressione violenta durante gli scioperi riguardanti questo settore, dove salari da fame e ritmi di lavoro frenetici vanno a braccetto.
Il Presidente del Consiglio Draghi è “addolorato” e vuole “fare luce sull’accaduto”. Il ministro del lavoro Orlando ha detto “è gravissimo quello che è accaduto. È inaccettabile che nel nostro Paese l’esercizio delle libertà sindacali possa mettere a rischio la vita”. Il segretario del Pd Letta su Twitter scrive: “Sconvolto dalla morte del sindacalista Adil Belakhdim e dalle circostanze in cui questa sembra (sembra? N.d.r.)essere avvenuta. Il dolore e la rabbia in questo momento di lutto che colpisce ancora una volta il mondo del lavoro”. Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) dichiara “E’ inaccettabile che nel 2021 si possa ancora perdere la vita sul posto di lavoro o mentre ci si batte per difendere i propri diritti”.
“Adesso te lo dico io per cosa è morto – spiega un compagno –
E’ morto perché pensava che non si può vivere così per 850 euro al mese”. Questo “così” è facile da descrivere e da comprendere. “Senza tutele, senza vita privata, perché i turni vengono sempre spostati all’ultimo momento, perché le ferie non le decidi tu, ma il capoarea, perché se chiedi un permesso per andare a prendere tuo figlio a scuola ti lasciano a casa per una settimana in punizione, e il lavoro dura sempre 13 ore invece che 8, con gli straordinari dimezzati e anche di notte ti arrivano sul telefonino i messaggi con l’ordine di essere in magazzino all’alba”.
Punto uno: torniamo a chiamare le cose con il loro nome.
Andiamo in soffitta, diamo loro una bella rispolverata e rificchiamole nel vocabolario. Pronunciamole, scriviamole, spieghiamole. Padrone, logica del profitto, conflittualità, rapporto capitale-lavoro, sfruttamento, classe, diritti.
Punto due: le lotte devono essere ricomposte
Lo sciopero “storico” di tutta la filiera Amazon nel settore della logistica sostiene rivendicazioni che vanno dalla verifica dei turni ai carichi e dei ritmi di lavoro imposti, dalla riduzione dell’orario di lavoro dei driver (autisti) alla continuità occupazionale per tutti in caso di cambio appalto o cambio fornitore, dalla stabilizzazione dei tempi determinati e dei lavoratori interinali al rispetto delle normative sulla salute e la sicurezza. I sindacati confederali portano avanti una battaglia per una contrattazione aziendale unica per tutti i lavoratori, dai circa 9mila che operano negli hub (magazzini immensi) e nelle station (magazzini più piccoli) ad almeno altrettanti interinali (il rapporto fissi precari è di 1:1) ai circa 1500 in appalto, fino ai circa 19mila driver, che portano il pacco a casa. Chi vuole avere un’idea precisa di come vive un driver (nessuno di loro è dipendente Amazon) si goda lo splendido “Sorry, we missed you” di Ken Loach. Totale a spanne 40mila addetti.
Parallela, viaggia la vertenza FedEx-Tnt, (gigante della corrieristica nato dall’acquisizione dell’olandese Tnt da parte della statunitense FedEx). Da un anno FedEx pensa a ristrutturare tutta la rete in Europa, ovvero a tagliare 6300 posti di lavoro nei prossimi tre anni. In Italia FedEx ha annunciato da poco la chiusura dell’hub piacentino, uno di quelli da cui è partito nel 2011 il ciclo di lotte dei facchini e guidato dai sindacati di base (SiCobas, AdlCobas). Sarebbero proprio i lavoratori iscritti a queste organizzazioni quelli esclusi da un piano di internalizzazioni proposto dall’azienda con il beneplacito da Filt-Cgil. In parole povere, una parte dei facchini FedEx li assume dalle cooperative e il resto sarà precarizzato e in mano alle agenzie interinali. Ma Amazon si è sempre appoggiata alle reti dei grandi corrieri (FedEx-Tnt, per l’appunto, oltre a Bartolini, Ups, Sda). (modello Amazon). Le vertenze quindi sono tutte di grande spessore, ma isolate l’una dall’altra per divergenze politiche e ideologiche, in particolare tra Cgil e sindacati alternativi, condizione che alza il rischio di un esito fallimentare (ma la storia non insegna davvero nulla?). Un esempio per tutti, organizzare lo sciopero di filiera in Amazon il 22 marzo scorso e, una settimana dopo, quello nazionale di settore: una scelta difficile da comprendere se l’obiettivo è la ricomposizione e non il micro-corporativismo. Separare di fatto le lotte dei driver e dei magazzinieri Amazon da quelle più generali per il rinnovo del contratto della logistica ha reso la vita più facile ad Amazon che, con un preavviso di 12 giorni, ha potuto dirottare gli ordini sui corrieri riducendo così l’impatto dello sciopero del 22 marzo sulle consegne.
“E’ morto perché credeva fosse giusto stare davanti a quei cancelli”.
Più chiaro di così si muore. Appunto.
Simonetta Valenti