Recensione di La vita segreta. Tre storie vere dell’èra digitale di Andrew O’ Hagan (Adelphi 2017, € 22), traduzione di Svevo D’Onofrio.
Tre storie vere dell’era digitale. Quando ho visto la copertina del libro, ho pensato che si trattasse di tre racconti ambientati ai giorni nostri in cui Whatsapp, Facebook o altro giocassero un ruolo importante. Invece i tre racconti parlano di una parte del web di cui molti sanno poco: chi ha inventato bitcoin, chi è Julian Assange, come funziona il dark web.
Il libro nasce da tre esperienze che l’autore ha vissuto realmente e su cui ha deciso di scrivere. Perciò è considerato un testo non- fiction, ossia di cronaca. I racconti però sono fortemente narrativi, come vedremo.
Primo racconto: Lo scrittore fantasma. Il protagonista è il fondatore di Wikileaks Julian Assange. Wikileaks è un’organizzazione internazionale che riceve, da parte di anonimi, dei materiali coperti da segreto, principalmente di Stato o aziendale, e li pubblica sul proprio sito web. Nel 2011 Assange accettò per soldi di collaborare con O’ Hagan per la pubblicazione della propria autobiografia: nel racconto l’autore ci narra i mesi in cui tentò di scrivere quel libro con Assange.
Nella prefazione a La vita segreta O’ Hagan spiega la propria tesi: ci sono ancora prima gli uomini, poi le identità digitali. E infatti in questo primo testo la rete non è protagonista. Al centro c’è Julian Assange, personaggio indimenticabile. La grande trovata di O’ Hagan è quella di spiegare prima l’importanza di quest’uomo nel mondo del web e l’impatto scandalistico del suo sito e poi di ritrarlo quando è in casa sua, terribilmente negligente, superbo, egocentrico. Questa è la prima vita segreta del libro: com’è l’uomo dietro il nascondiglio di internet? Lui così.
Fin dai primi giorni di lavoro, Assange si rivela sopra le righe, uno che non lava le stoviglie perché dice di avere cose più importanti da fare al computer; i suoi modi quando mangia sono da animale; non ha considerazione per quelli che gli stanno vicino; ha come occupazione preferita insultare gli oppositori, gli avvocati, i quotidiani e anche chi lo appoggia. Man mano manda in declino il progetto dell’autobiografia, perché non scrive le pagine che gli vengono richieste e non legge le bozze di O’ Hagan. Assange promette, promette sempre ma già sapendo che non muoverà un dito per il lavoro, però si infuria quando gli si nega un favore. O’ Hagan ha descritto uno dei personaggi che mi hanno emozionato di più in un libro, un uomo detestabile e irragionevole, che a un certo punto ho capito e iniziato a prevedere.
Un passaggio: Non avevo mai incontrato una persona con una così buona causa e una così cattiva predisposizione all’ascolto, e neppure il capo di un’organizzazione con una tale, inesauribile capacità di preoccuparsi dei suoi nemici e di sbadigliare in faccia alla gente.
Il racconto è anche un omaggio alla professione del ghostwriter. O’ Hagan descrive nel dettaglio le proprie conversazioni con Assange, le scremature tra le tante ore di registrazione, le forti pressioni che subì dai media, le discussioni con i membri della casa editrice. In realtà, questo scrittore va oltre: O’ Hagan è un uomo affascinato dal carattere di Assange e dal proprio lavoro (perlomeno all’inizio), è l’unico che cerca sempre di capire l’informatico e, infine, è una specie di personaggio pubblico. Non il ghostwriter che di solito si immagina.
Finito di leggere viene da pensare: ora che O’ Hagan ha scritto questo racconto, Assange sarà infuriato? No, non lo avrà nemmeno letto.
L’invenzione di Ronnie Pinn racconta di un esperimento. In un cimitero l’autore trova la lapide di un ragazzo morto trent’anni fa, Ronnie Pinn, e gli viene un’idea: costruire un’identità digitale con il nome del ragazzo, per vedere se è possibile fare proseguire la sua vita sul web. O’ Hagan studia tutto nei minimi dettagli: decide che il ragazzo studiò a Edimburgh, si procura per lui una falsa laurea, ottiene un’immagine del suo volto ora che avrebbe quarant’anni. Ronnie sbarca su Facebook con la sua vita passata, le sue passioni e le idee politiche; poi arriva Twitter, poi una patente di guida. Ma in rete nessuno capisce. Dopodiché Ronnie frequenta le zone più malfamate del web, dove può compiere i propri acquisti: compra eroina, fumo afghano, denaro falso, entra in cerchie di amici.
Questo è un racconto sulla rete. La procedura per la creazione dell’identità fittizia è spiegata con la cura di un testo di cronaca. La descrizione del dark web lascia a bocca aperta: come accederci, come procurarsi i soldi, quali sono i siti principali e perché sono nati, che posizione hanno nei confronti del Governo, e poi la compravendita di qualsiasi cosa. Un racconto di taglio tecnico- informativo, che spiazza completamente, da leggere.
Questa non è la vita segreta di Assange. Qui viene creata un’identità che esiste solo nel computer, il segreto è che è tutto finto. La storia diventa inquietante quando il profilo inizia ad avere una vita su cui O’ Hagan non ha controllo, stringendo amicizie che lui non ha voluto, ricevendo lettere dal fisco.
Però c’è sempre la voce dell’autore. O’ Hagan riflette spesso sulla moralità di quel che sta facendo, finché a un certo punto non decide di toccare di nuovo terra, di tornare alla vita reale e trova un familiare del vero Ronnie. Esistono ancora prima gli uomini, poi i computer. Qui lo scrittore è l’uomo in carne ed ossa, che non accetta la falsità della rete, una figura morale. Tuttavia, chi legge sa che questa è un’eccezione. Lo scrittore è uno dei pochi su internet a farsi questi problemi.
Il racconto L’affaire Satoshi si occupa del misterioso inventore di bitcoin (la moneta digitale). Il primo trasferimento di bitcoin nella storia è avvenuto nel 2008 da parte di Satoshi Nakamoto, pseudonimo con cui si firmò il suo inventore. Nel 2015 l’azienda nCrypt individuò Satoshi in Craig Wright, quarantacinquenne australiano, e stilò un accordo con Wright secondo il quale l’informatico avrebbe collaborato con O’ Hagan per la scrittura della propria biografia. Nell’accordo era incluso che egli si dichiarasse Satoshi pubblicamente. Il racconto che noi leggiamo è la storia dei sei mesi in cui Wright narrò allo scrittore l’ideazione di bitcoin, fino al fatidico giorno della sua rivelazione pubblica. Che non andrà come ci aspetteremmo.
Il racconto ha, di nuovo, grande valore informativo. Wright spiega effettivamente le diverse fasi di realizzazione di bitcoin, il modo attraverso cui arricchirsi con il suo uso, il contributo dei co- autori. E il motivo per cui la cosa sfociò nell’illegalità.
La forza del racconto però è narrativa. Già nella struttura del racconto lo si capisce: il testo si apre con una scena d’azione, il blitz della polizia nella camera di albergo di Wright a Sidney e la successiva fuga dell’informatico in vari Paesi. Ma soprattutto, tutto il racconto è costruito sul protagonista.
Craig Wright è il contrario di Julian Assange: affabile, competente, risponde tutto d’un pezzo nelle conversazioni con lo scrittore. Almeno all’inizio sembra essere l’uomo di valore dell’era di internet. Ma presto anche lui mostra una certa estrosità: continuamente in attività, sempre preso da un calcolo e da una risoluzione, diventa esagerato in poco tempo. I colleghi lo descrivono così: «E’ davvero una brava persona» disse «ma è un cazzo di incubo. Tutte le mattine entra in ufficio e io penso: “Di cosa diavolo parla?” […] Quando mi arriva gente nuova devo addestrarli a parlare con Craig. Questo mi tocca fare. […] E’ impossibile restare nella stessa stanza con lui. Parla continuamente, è come Steve Jobs, solo… peggio». Ancora: « Non puoi dirgli “Spiegami questa cosa”. Se gli fai una domanda del genere parte per la tangente. Anzitutto faticherà a spiegare cos’ha in mente. […] Quando è alla lavagna, lo filmiamo e poi qualcuno ribatte il testo».
Il lettore si fa velocemente un’idea su Wright e lo giudica, sospetta più cose su di lui. Leggendo si arriva anche a pensare che l’informatico, quando dialoga con O’ Hagan, stia bluffando o che stia omettendo molto. In generale, la combinazione tra il tono narrativo e la vicenda dei bitcoin rende subito interessante L’Affaire Satoshi.
Il fatto centrale del testo è: Wright è Satoshi e vive la sua vita segreta, ma tra poco dovrà rivelare la propria identità. L’uomo digitale uscirà dal computer e rivelerà chi è. Ma Wright non riesce mai a dire di sì, resta vago, non fa capire se preferisca rimanere nascosto nel computer o prendersi pubblicamente il riconoscimento dell’invenzione di bitcoin. Anche questo informatico è un personaggio ben pensato, un uomo non sempre comprensibile, un genio. Proseguendo, la storia prenderà un verso sempre peggiore.
La stampa e internet nel racconto si scontrano. Wright rifiuta la pretesa dei giornalisti di arrivare dritti alla verità. In un’intervista con la BBC non si sente di dichiararsi Satoshi e accusa i giornalisti di volere sempre trovare qualcuno da attaccare. Quelli invece premono. Il racconto in generale appoggia di più la stampa, ma l’autore si rende conto che rete e giornali sono due mondi troppo lontani tra loro.
La vita segreta è un libro consigliato. Aiuta a conoscere meglio la rete, ma ha anche grandi trovate narrative. Dopo averlo letto ho cercato Assange su Twitter: in attività di continuo, parla contro Facebook, contro il governo inglese e americano, contro Hillary Clinton. So che twitta ignorando quelli vicino a lui, con i modi di un bambino, dopo aver mangiato come un animale.
Elia Curzio