Il resoconto della prima serata organizzata dall’Anpi eporediese sui grandi personaggi del passato redatto da una giovane studentessa del liceo Gramsci
Una stanzetta piccola, dipinta di bianco, poche seggiole, una ventina di persone, donne, uomini, giovani, un proiettore, una videocamera, una scrivania, un professore. Un microfono che tanto non serve: si è in pochi, basta la forza della voce. E occhi che si perdono tra le parole di uomini proprio come noi, piccoli, minuscoli di fronte al mondo, grandi nelle loro azioni. Che come noi si sentivano estranei al mondo, ma così immersi nelle sue radici, indignati dalla crudeltà, soffocati dalla malvagità di quegli anni che li strozzavano, e che li uccisero.
Gramsci, Gobetti. L’uno in carcere a riempire d’inchiostro mille pagine, a riempire di speranza mille cuori, a mettere insieme parole che hanno dato la forza ad una nazione di liberarsi dalla morsa fascista; l’altro, un ragazzino. Giovane, fresco, puro, deciso. Maturo come pochi lo sono, attuale come nessun altro. Il primo fondatore del partito comunista italiano, determinato a cambiare qualcosa, arrabbiato con il sistema, con l’anima alla lotta proletaria. L’uomo che ce l’aveva con gli indifferenti, che era partigiano perché parteggiava, perché partecipava (“libertà è partecipazione”, Giorgio Gaber), che odiava i neutrali, i pigri, gli sfogliati. Che elogiava lo spirito critico come la più forte, la più potente arma in mano all’intelligenza, la più funzionale per cambiare il mondo. Gobetti, contrario all’apatia, contro gli ipocriti, contro gli indifferenti, un rivoluzionario liberale. Un ragazzo che considerava la lotta cosa ovvia e naturale, come l’alba dopo una notte buia, l’unico processo possibile per arrivare alla libertà, e di conseguenza all’autonomia, alla salvezza.
Entrambi due antifascisti convinti, due partigiani prima della resistenza. Uomini che il fascismo lo conoscevano e lo temevano, anche se non aveva ancora raggiunto il suo apice. Lo conoscevano, capivano i suoi meccanismi, il suo sistema. Lo odiavano, il fascismo. Sapevano avrebbe portato tanti disastri, e avevano ragione.
Il suo modo di conquistare e plasmare le menti delle persone, di farle cedere alla paura del diverso, che esso sia un ebreo, un comunista o un omosessuale. Il suo modo di cambiare i pensieri, di imporre, di governare, di obbligare al silenzio e all’indifferenza. Di spianare il terreno per far germogliare il fiore della crudeltà. Lo odiavano, il fascismo.
Ci ricorda qualcosa? Quella paura insensata dell’estraneo, di tutto ciò che non corrisponde al nostro metro di normalità, quel terrore che si tramuta in odio di tutti i pensieri non conformi ai nostri, di tutte le sfumature e le diversità che rendono unico l’essere umano, che rendono unito l’essere umano… ci ricorda qualcosa? Per le strade oggi non si vede altro che paura negli occhi delle persone; tutto come novanta, ottanta anni fa.
Cosa ci avrà insegnato la storia? Cosa ci è rimasto di tutte le testimonianze, di tutti i libri, foto, documenti, musei e ricordi di quegli anni terribili? Come possiamo non capire che è la medesima situazione del primo dopoguerra? Tira aria di guerra, futuri di disperazione, nuove miserie. Ci toccherà raccontare ai nostri nipoti di come abbiamo sconfitto il fascismo della terza guerra mondiale resistendo come ci avevano insegnato i nostri nonni? E a loro toccherà forse raccontare ai loro nipoti come hanno combattuto il fascismo della quarta guerra mondiale come gli avremo insegnato noi? Ma quando ci fermeremo? Quando apriremo gli occhi e capiremo che è tutta una scusa, una grande scusa per renderci stupidi, ignoranti e per toglierci il nostro diritto naturale di pensare? Quando capiremo che come non era colpa dell’ebreo, non è colpa dell’immigrato in fuga dal disastro, quando capiremo che sono solo capri espiatori per non incolpare loro? Loro, quei cari signori, quei dotti signori, che con un po’ di furbizia hanno capito come diventare potenti sfruttando la stupidità di noi poveri pecoroni, con due parole grosse e qualche discorso convincente.
Il fascismo c’è sempre stato, e sempre ci sarà, se non impariamo a dire basta, basta, ora, adesso, basta.
Impariamo dai nostri errori, ma se neanche le storie, la Storia insegna più, chi lo farà?
È questa l’importanza di eventi come quello organizzato da “comunità creativa” in collaborazione con l’ANPI: la memoria. Ricordiamoci quale tempesta porterà questa grossa nuvola nera.
Agata Marazzina