Sabato 17 febbraio, si è svolto, presso la sala Santa Marta di Ivrea, l’incontro Migranti: problema o risorsa?, organizzato dall’Osservatorio Migranti in collaborazione con molte altre associazioni cittadine. Un resoconto di quella giornata
Così recitava la presentazione: “una giornata di studio per contro-informare l’opinione pubblica sulle opportunità che la presenza dei richiedenti protezione e asilo possono rappresentare nelle comunità locali, con l’obiettivo di ribaltare la percezione di chi li considera come un “peso” invece che “risorsa”.
Un ottimo spunto di riflessione e quindi un ottimo motivo per partecipare. La sala è gremita già dall’inizio, davvero una grande partecipazione, gli interventi in programma sono parecchi, perciò si comincia senza indugio. In apertura il saluto ufficiale della città di Ivrea, portato dall’assessore Augusto Vino, che, per l’occasione, introduce il tema dandone una visione generale e poi riportandone i punti critici causati dalle lacune di legge, senza però dimenticare di citare Ivrea come esempio positivo in fatto di accoglienza, pur con possibilità di miglioramento.
Il compito di iniziare il “discorso” vero e proprio, è affidato ai due consorzi locali Cissac e Inrete, relativi al territorio del Calusiese e e dell’Eporediese, rappresentati rispettivamente da Savino Beiletti e Ellade Peller. Entrambi raccontano lo stato dell’arte nel rispettivo territorio di competenza, ed entrambi evidenziano come punto saliente di svolta il protocollo firmato con la Prefettura di Torino che affida a questi enti la gestione diretta dei richienti asilo tramite CAS (centri di accoglienza straordinari), laddove non è operativo o sufficiente uno SPRAAR (servizio centrale per richiedenti asilo o protezione – Enti Locali per conto del Ministero degli Interni). Sempre per entrambi tale affidamento si è declinato nel bando di gara che ha visto partecipare le diverse associazioni o cooperative per la gestione operativa. A tutt’oggi dunque alcune cooperative, rispondendo a specifici criteri dettati dal bando, hanno in carico la gestione operativa, appunto, dei richiedenti asilo, ognuna per un certo numero di individui. Le cooperative sono sotto il diretto controllo degli enti Inrete o Cissac. In pratica, in base ai due interventi, capiamo che siamo riusciti a risolvere (almeno in parte) il problema del chi fa cosa e per conto di chi, togliendo alla Prefettura la possibilità di decidere in maniera arbitraria senza il consenso dei comuni eventualmente coinvolti. Cioè, se prima la Prefettura affidava direttamente alle Cooperative ed esse agivano dove e come credevano, ora esse agiscono per conto di enti pubblici, emanazione di un gruppo di comuni, tutti d’accordo nel condividere l’onere (e l’onore) dell’accoglienza. Punto. Le possibilità e le attività svolte dai richiedenti asilo (oltre a quelle strettamente obbligatorie) sono affidate alle cooperative stesse, più o meno supportate dai comuni nei quali operano e si declinano in alcuni interventi di lavoro volontario a Strambino. Di Ivrea non si dice nulla.
Dopo i “nostri” consorzi servizi sociali, si inizia il giro di racconti inerenti ad altre realtà ed esperienze e finalmente la prospettiva assume un’angolazione leggermente più ampia. Marisa Varvello, Sindaca di Chiusano d’Asti, capofila Progetto SPRAR Agape, racconta di aver attivato corsi di formazione e stage retribuiti (avete letto bene: RETRIBUITI) al fine di poter aiutare i richiedenti asilo nella ricerca futura di un lavoro e quindi essere facilitati nell’inserimento sociale, con il non facile risultato di aver diminuito al massimo le frizioni tra popolazione locale e ospiti. Poi tocca ad una rappresentante del comune di Ormea (CN), in vece del sindaco impossibilitato, raccontare come anche in un luogo piuttosto isolato come la Val Tanaro siano riusciti a mettere in campo progetti di lavoro con effettivo ritorno economico in ambito turistico/paesaggistico. Lo stesso racconta Annalisa Fontana coordinatrice SPRAR di Chiesanuova e Colleretto Castelnuovo (TO), circa l’esperienza di inserimento di un numero considerevole di stranieri attraverso stage, laboratori, progetti di lavoro in collaborazione con scuole professionali e artigiani del territorio.
Stessa musica (è il caso di dirlo) per Marino Poma, presidente dell’Associazione Morus di Ceres (Valli di Lanzo), quella che ha dato vita al Coro Moro, un gruppo di richiedenti asilo/migranti africani che cantano in piemontese (sono anche stati ospiti a Tavarock), insieme ad altre svariate attività, tutte volte a creare nuovi sbocchi lavorativi. Chiude la lista di buone pratiche Andrea Trivero, Direttore Associazione PaceFuturo di Pettinengo (Biella), che riferisce di analoghi percorsi di recupero di artigianato perduto e accoglienza fruttuosa. In coda il racconto di un nostro progetto recente, riportato da Gloria Ponzetto, che racconta di Contadini per caso di Orio Canavese, una società agricola fondata da tre rifugiati, grazie alla possibilità di coltivare terre in comodato d’uso (altrimenti abbandonate). Insomma, capiamo che laddove si vuole, si può.
E, a parte i casi relativi a associazioni e privati cittadini particolarmente sensibili e impegnati, scopriamo che anche gli enti pubblici se vogliono possono fare molto. A questo punto abbiamo un po’ di rammarico nel contstatare che da noi si è riusciti al massimo a far fare lavoretti di volontariato (denominati lavori di restituzione – restituzione di cosa, poi?) e non senza grossissime difficoltà, molto spesso (per non dire sempre) causate dagli uffici pubblici, immobilizzati di fronte all’uso di un macchinario o alla possibilità di far seguire appositi corsi. Ci avevano raccontato di chissà quali impedimenti e invece scopriamo che non solo è buono e giusto, ma anche possibile. Abbiamo la netta sensazione, accordi con la Prefettura a parte, di essere piuttosto lontani da quella che dovrebbe essere una accoglienza proficua, oltre che doverosa, che vada oltre il minimo sindacale e il controllo dello stesso.
Piuttosto abbattuti e con le orecchie basse, accusiamo il colpo del mancato dibattito, seppur previsto, che almeno ci avrebbe consentito qualche domanda e magari qualche proposta, a favore di una esibizione di percussioni eseguita da un gruppo di migranti attivi presso lo ZAC Movicentro, purtroppo assolutamente sprecata in una sala dall’acustica pessima come quella in cui ci troviamo. Chiude il pomeriggio una piccola carrellata di esperienze dirette, raccontate da alcuni migranti, chi ancora in attesa di permesso, chi già più avanti nel percorso. Un paio di ragazzi parlano un italiano perfetto, con un uso appropriato e corretto del congiuntivo e questo ci ribadisce definitivamente che se si vuole, si può. Tutti ringraziano. Ed io penso: ma grazie di che? Fermate la sindaca di Chiusano d’Asti e chiedetele la residenza prima che vi tocchi pulire per l’ennesima volta l’area mercatale dalle erbacce e per giunta gratis. Morale della favola: tante parole e pochi fatti in un territorio in cui il lavoro è concepito come sottoinsieme del volontariato.
Sign of the time.
Lisa Gino