I “visti da noi” per il Cineclub Ivrea
Cinema come specchio fedele della realtà oppure cinema dove la parodia della realtà punta sui toni accentuati per sferzare il pubblico? Forse entrambe le cose in questo film dal sapore amaro su quanto di peggio sappia stimolare il successo a ogni costo, il carrierismo, l’arrivismo, la lotta per emergere senza esclusione di colpi. Lobbista per passione, miss Sloane ama il suo lavoro fino a farne un’ossessione, è sfrontata e fenomenale, bella, sicura, infaticabile.
Ma chi sono i lobbisti? Sono persone pronte a tutto pur di perseguire gli obiettivi aziendali. Inoltre, lavorando in team dove si prendono decisioni di vertice, sono in grado di influenzare abilmente gli orientamenti altrui. Una lobbista decide, rischia, inventa, prevede e soprattutto vince. Gli americani non sono nuovi a farci vedere come i decisionisti operino, si muovano, vivano nell’odierna società.
Siamo quindi all’interno degli spazi delle grandi lobby delle armi, della politica, del business, siamo nelle architetture di una città come Washington che gira ad alta velocità, dove il controllo operativo e decisionale richiede tempi sempre più rapidi di pensiero e di azione. Talmente rapidi che lo spettatore, mio pari, non ci sta dietro. E qui non si capisce, appunto, se tutta questa frenesia è solo un’iperbole scenica del film oppure, ahimè, è il vero specchio della realtà che ci circonda. La protagonista è aggressiva e spietata, dialetticamente insormontabile, e vive a ritmo dopato. La tensione nervosa e produttiva è sempre alle stelle. Occorre velocità, occorre spingere sull’acceleratore, occorre pensare meglio e più rapidi degli altri e non importa se poi non si riesce a dormire nonostante le pillole trangugiate a oltranza. Alzati presto, buttati sotto la doccia, truccati, esci, lavora, spia le mosse degli altri. Colleghi o concorrenti che siano, non ti fidare di nessuno. Alla sera, cena solitaria in un fast food orientale in attesa che inventino la pillola del cibo, un libro da leggere a letto che ti casca tra le mani e un gigolò tutto muscoli, per prestazioni saltuarie a pagamento.
Ritmo, velocità, fretta, i fenomeni delle lobby vivono così, difendendosi da tutti e navigando sul mare nero degli ambienti corrotti. E sei super come la Sloan, la concorrenza ti cerca, blandisce, strapaga, e tu fenomeno da sedici ore al giorno di pensieri e previsioni fulminei, diventi sempre più un automa di brillante meccanica prontezza. Ogni tanto la coscienza suggerisce di smettere, ma l’ego subito si ribella: “Cara la mia Sloane, se smetti di agitarti che cosa fai dopo? E così il martello di una vita compulsiva riprende a battere i suoi colpi. Qualcuno, tra i suoi colleghi, pensa che sia meglio andare a studiare Socrate e insegnare filosofia e forse un giorno lo farà sul serio mollando tutto. Sloane invece sfreccia come un caccia nel cielo, lasciandosi alle spalle una scia densa di ammirazione e di odio. Lei passa da campionessa della lobby delle armi alla lobby di chi le armi le combatte, in questo modo raddrizzando un po’ il profilo etico del suo personaggio.
I potenti lobbisti della armi hanno le loro frasi a effetto tipo “Chi ha reso gli uomini più eguali è il signor Colt”. Lei risponde con l’efficiente macchina del suo cervello vincente. “Quando trami – ci dice la Sloane – lo devi fare stando sempre un passo davanti agli altri.” La causa è tutto, e ogni cosa che le si sacrifica, ha un senso se si vince. In questo gioco pericoloso e guerresco dove tutti si battono incrociando le lame del loro potere di sopraffazione, qualcuno, non del tutto deprivato di sensibilità, ricorda che i limiti dovrebbero stare sempre nel rispetto della persona umana, limite che la Sloane ha scavalcato da tempo.
Dunque corri donna, corri, vinci o soccombi perché il mondo che conta, quello che ci dicono che conti, va avanti solo così e se non stai in sella sei perduto. Mentre il film mi bombarda con il suo ritmo d’assalto, in sala provo un’irritazione profonda e sogno, come risposta, la beata vita di un pastore che traghetta il suo gregge verso i prati e il silenzio.
Pierangelo Scala