Manca ormai poco tempo al referendum del 17 aprile che vedrà gli italiani di tutte leregioni chiamati a votare per esprimere il proprio voto per rinnovare o bloccare le concessioni per losfruttamento dei giacimenti da parte delle piattaforme marine entro le 12 miglia, anche pergiacimenti in essere e/o ancora sfruttabili
Sono già state elencate molte delle ragioni pervotare SI. Riprendendole, in breve: 1) è necessario superare le fonti fossili; 2) le ricerche di petrolio e gas mettono a rischio i mari italiani, peraltro chiusi; 3) l’estrazione di idrocarburi è un’attività inquinante, con un impatto rilevante sull’ambiente e sull’ecosistema marino; 4) il “petrolio” degli italiani è ben altro: bellezza, turismo, pesca, produzioni alimentari di qualità, biodiversità, innovazione industriale ed energie alternative; 5) il SI non farebbe perdere posti di lavoro gettando la produzione energetica italiana nella catastrofe lavorativa: l’eventuale chiusura delle piattaforme marine avverrebbe progressivamente, permettendo una ricollocazione dei posti di lavoro (sempre ammesso e non concesso che gli intenti industriali siano disponibili a farsene carico). È dunque chiaro che si tratta di un problema importante, ma gestibile, con buona pace dei catastrofismi economici e industriali dei “realisti”. Il fatto stesso che il sindacato della Fiom abbia aderito al comitato del SI e che all’interno della Cgil prevalga la medesima posizione (nonostante alcune voci contrarie) dimostra come il problema dei posti di lavoro sia solo uno spauracchio per bloccare gli indecisi al voto del 17 aprile.
Inoltre, tale referendum, lo ricordiamo, inizialmente faceva parte di una serie di quesiti su questioni ambientali volti a contrastare i recenti cambiamenti del decreto “Sblocca Italia”. Qualora approvato,l’insieme dei quesiti avrebbe di fatto dato facoltà alle Regioni di bloccare piani e procedure de lGoverno centrale in caso di mancata intesa con i governi locali sulle decisioni di politica industriale ed energetica. Quasi tutti i quesiti del pacchetto originale non sono passati al vaglio della magistratura, anche perché nel frattempo il governo di Roma ha introdotto aggiustamenti e modifiche alle leggi che si chiedeva di abrogare nella direzione richiesta dai referendum. In altre parole, il governo Renzi, pur di scongiurare i referendum in attesa della riforma del Titolo V della Costituzione (che garantirebbe che le decisioni in materia energetica diventino di prerogativa assoluta dello Stato), scelse di fare temporaneamente “marcia indietro”, lasciando in piedi, de facto,un solo referendum. Già questo dovrebbe far capire come dietro le ragioni ambientaliste (peraltro valide e fondamentali) si celi, in profondità, anche una ragione politica che motivi la scelta di andare a votare SI per fermare le trivelle: ribilanciare l’equilibrio decisionale e democratico che Renzi vorrebbe convogliare nelle mani del solo esecutivo.
Ad Ivrea, lo scorso 16 marzo, è nato il “Comitato Vota SI per fermare le trivelle – Eporediese” che ha visto, tra i primi firmatari, i seguenti soggetti locali: Anpi – Sezione di Ivrea e Basso Canavese, Centro Gandhi Ivrea, Centro Pace Ivrea, Circolo Legambiente Dora Baltea, Comitato Dora Baltea che Respira, Comitato Gemellaggio Ivrea/Qaladiza, Ecoredia, Gruppo Oltre La Specie Canavese, L’Albero della Speranza, Libera Canavese, L’Osservatorio del Paesaggio per L’anfiteatro Morenico d’Ivrea, MIR, Rifondazione Comunista Ivrea, SEL Canavese, Viviamo Ivrea, ZAC!.
Nonostante la lontananza dal mare, questo territorio si sta muovendo e lo sta facendo affrontando ragionevolmente i problemi ambientali ed ecologici a cui siamo sottoposti. Chi vive all’interno dell’AMI sa bene come perennemente si cerchi di sfruttare il più possibile le risorse naturali per fini economici e privati, nonostante si nascondano queste logiche dietro alla retorica della “pubblica utilità”. Abbiamo assistito impotenti al Viadotto Marchetti, rovinando forse per sempre la pesaggistica, fonte, tra le altre cose, di turismo; stiamo assistendo impotenti alla mercificazione della Dora Baltea, principale risorsa idrica del territorio e, infine, siamo scampati per il rotto della cuffia alla realizzazione di una cava con cui avremmo bucato ripetutatamente la zona di SanBernardo d’Ivrea.
Ancora una volta lo ribadiamo: alla Cop21 abbiamo sottoscritto una carta d’intenti alla quale ora è tempo di dare sostanza. Il Governo non si è dimostrato coerente con queste intenzioni. Cerchiamo noi, con il nostro SI, di fare ciò che altri non sono stati in grado di fare.
Andrea Bertolino | 30/03/2016