Marco Peroni risponde a dubbio, preoccupazioni e domanda espressi negli articoli di varieventuali sulla tre giorni eporediese di “Conversazioni sulla Economia Civile”
Scrivo facendo seguito agli articoli Economia Civile versus Economia Politica e Le buone pratiche cambieranno il mercato capitalista? pubblicati da varieventuali a proposito della tre giorni organizzata a Ivrea dalla neonata associazione culturale Il Quinto Ampliamento, in particolare alle domande sollevate da Francesco Zaccagnini, che ci interrogano e meritano certamente risposta. Mentre mi sento di ringraziare il giornale a nome di tutta l’associazione Il Quinto Ampliamento per la cura (che è sempre figlia del rispetto) con cui entrambi gli articoli sono stati scritti, quello che proverò a dire è invece il frutto di una riflessione del tutto personale.
Allora, Francesco parla di “un dubbio, qualche preoccupazione e una domanda”… E, per cominciare, il dubbio riguarda la presenza insufficiente della società civile ai tavoli di lavoro. Su questo intendo tranquillizzarlo immediatamente: l’associazione nasce con l’obiettivo dichiarato di rivolgersi in primo luogo alle imprese – per stimolarne la disponibilità ad accogliere comportamenti rispettosi della persona e dell’ambiente, per dare strumenti concreti a chi si è già messo su questo cammino (per fortuna esiste, e in misura maggiore di quanto si creda) – ma non intende certamente assegnare agli altri soggetti sociali ruoli subalterni.
Insomma Quinto Ampliamento cerca di andare incontro alle imprese senza per questo volerle eleggere ad arbitro unico del nostro destino. Del resto, la sussidiarietà circolare è proprio uno dei principi portanti dell’economia civile: alle sfide (molte delle quali nuove ed enormi) che ci vengono lanciate ogni giorno, occorre trovare risposte che coinvolgano la società civile organizzata, il pubblico, ma anche il privato, chiamato a una forma di protagonismo che non coincida unicamente con la realizzazione del profitto economico. Davvero pensiamo, ad esempio, di cambiare le abitudini alimentari delle persone e tutelare la biodiversità dell’ambiente con la sola forza dell’associazionismo, dei laboratori nelle scuole pubbliche, e così via? Le imprese sensibili a questi temi possono diventare una leva importante del cambiamento, fare la loro parte insieme agli altri soggetti sociali. L’associazione nasce per stimolare e facilitare questo processo. Chi ha giustamente criticato i comportamenti delle imprese che nel tempo si dimostravano irresponsabili dovrebbe vederla come un’opportunità.
Per venire alle preoccupazioni: Francesco ha paura che anche a livello locale qualche imprenditore scenda in campo tutto vestito di buoni principi riproponendo una sorta di esperimento berlusconiano in salsa canavesana. A questo timore rispondo un po’ come sopra, con un altro timore, che purtroppo mi pare fondato: quello che la città stia perdendo la sua capacità di guardare al di là dei propri confini, diventando un po’ troppo auto-riferita. Di sicuro, soggetti istituzionali e personalità di caratura nazionale non sono confluiti nell’associazione con tutto questo operoso entusiasmo per tirare la volata a qualcuno nella sua piccola Ivrea. Per fortuna sono mossi da un altro genere di ambizioni.
Infine, provo a rispondere alla domanda sulla figura di Adriano Olivetti, ritornato negli ultimi anni al centro delle attenzioni (più che delle riflessioni, in verità) di tanti soggetti. La domanda è: perché?
Da una parte credo che (un po’ come succede per i principi e i valori dell’economia civile) le sfide inedite della contemporaneità stiano chiamando in causa riferimenti diversi da quelli che ci hanno orientati nei decenni precedenti, e che Olivetti sia inevitabilmente uno di questi. Nel suo tentativo di fare di Ivrea l’esperimento pilota per il superamento del capitalismo e del socialismo, ha messo in campo alcuni esperimenti che possono tornare d’ispirazione in questo momento difficile. Anche perché le grandi narrazioni del Novecento faticano a dare risposte, a coinvolgere gli animi più inquieti e propositivi (i quali non sono così tanti ma si trovano un po’ ovunque, non in un solo gruppo sociale o politico): se un uomo come Adriano Olivetti è ripreso in considerazione e studiato negli ambiti più diversi, io non ci vedo niente di male. Anzi.
D’altra parte, è altrettanto evidente come egli sia stato un essere poliedrico e come tale si presti alle letture più comode per chi non sa resistere a questo genere di tentazioni. Federalista per i federalisti, innovatore per gli innovatori, e così via, ognuno può fabbricarsi l’Adriano che preferisce o che gli fa il servizio migliore: allo stesso tempo sarà chiamato a risponderne davanti al setaccio del tempo, in cui per fortuna resta soltanto quello che deve restare. In questo senso non mi preoccuperei troppo. Come ha detto Stefano Zamagni concludendo il suo intervento del 29 settembre a Ivrea, il modo migliore di interpretare una tradizione è quello di conservare il fuoco e non certo di custodire le ceneri. Ci sono fior di professionisti dell’uno e dell’altro modo, ma una cosa è certa: se si guarda con un po’ d’attenzione, si vede bene che non sono colleghi.
Marco Peroni