L’era dei social network sta modificando il modo di trasmettere le informazioni, talvolta generando disinformazione. Tra politici che ne approfittano e fautori di un web più democratico il libro Disinformazia è un utile “manuale di sopravvivenza”. Il resoconto della serata di presentazione alla libreria Mondadori
Prima sono arrivati i giornali: le persone si informavano quasi esclusivamente sulla carta stampata e la comunicazione era gerarchica, dall’alto verso il basso. Successivamente vennero radio e televisioni: improvvisamente il mondo si ritrovò catapultato nell’era dei mass-media. L’informazione cominciò a provenire da più canali contemporaneamente, ma pur sempre in maniera gerarchizzata e verticale, fino a quando, all’inizio del XXI secolo, Internet e i social network spalancarono le porte di un modo tutto nuovo di gestire, veicolare e fare informazione.
Chiunque, oggi, può scrivere un pezzo e caricarlo su internet; chiunque può far girare delle notizie, vere o false che siano e mettere in discussione l’autorità un tempo inviolata di giornalisti o di comunicatori di professione. Un domani ricorderemo probabilmente questi giorni come l’inizio di una nuova forma di comunicazione democratica, ma per il momento è innegabile non riconoscere che questa confusione dei ruoli stia generando tanta capacità d’informazione quanta di disinformazione, ed è proprio su questa dicotomia che si è aperta, l’8 settembre, la serata alla libreria Mondadori d’Ivrea con ospite Francesco Nicodemo, autore del nuovo libro Disinformazia. La comunicazione al tempo dei social media.
Il libro, definito dal blogger Hamilton Santià (presente all’incontro), è un vero e proprio saggio “per non esperti scritto da un esperto” e che si apre con due questioni estremamente importanti nel mondo dei social network: gli algoritmi e le “camere degli eco”.
In linea teorica la navigazione sulla rete sembrerebbe libera: ognuno può cercare gli argomenti che più desidera e uscire ed entrare dalle pagine online in assoluta libertà, ma in realtà così non è. Ogni pagina contiene al suo interno schemi matematici basati su “algoritmi”, ovvero filtri meccanici che raccolgono dati e informazioni dei nostri gusti ed elaborano altrettanti suggerimenti e schermate sulla base delle cose che più ci piacciono. Vi è mai capitato di cercare un prodotto (un libro, delle scarpe…) su internet e di notare successivamente una pubblicità a lato di una pagina combinazione di quello stesso prodotto? Quello è il risultato di un algoritmo che vi propone esattamente ciò che volete vedere.
Nel momento in cui questo “filtro meccanico” si unisce all’elemento umano del cercare consenso e dell’andare alla ricerca di persone con le nostre stesse abitudini e idee, ecco che si creano le “camere degli eco”, ovvero degli spazi su Facebook, su Twitter, su Whatsapp o su Messanger nei quali le opinioni delle persone sono confermate da opinioni simili alle nostre.
«Questo singolare fenomeno» ha spiegato poi Nicodemo «induce le persone a pensare che la ragione stia dalla nostra parte, perché sembra che tutti la pensino come noi e che chi non la pensa in questa maniera abbia torto».
Questa visione unilaterale delle cose produce inevitabilmente uno scontro di “camere di eco”, ovvero una vera e propria lotta barbara tra chi dice “bianco” e chi “nero”, annullando, de facto, il ragionamento e il confronto democratico e indebolendo le tradizionali istituzioni. Si pensi al dibattito infuocato tra vaccinisti e anti-vaccinisti, tra vegani e non vegani, tra complottisti e anti-complottisti e si pensi quanto poco valore abbiano, in queste discussioni, i pareri di un medico, di un nutrizionista o di un professore di diritto.
In mezzo a questo “fuoco incrociato” c’è una larga maggioranza di persone che tendenzialmente non si schiera, né partecipa a questi dibattiti, ma che inevitabilmente finisce per essere condizionata dai pro o dai contro. Basti pensare, infatti, che nella “dieta mediatica” degli italiani, la percentuale di persone che si informano in rete è passata dal 30% al 60%, ovvero aumentata del 100% in pochi anni, a differenza di quella legata ai giornali che si aggira, oggi, attorno ad un basso 30%.
Nicodemo, nel presentare questa sua lucida analisi, è sinceramente convinto di voler dare un contributo per rendere l’Internet di domani un luogo di partecipazione democratica e di discussione pubblica; ciò nonostante non bisogna dimenticare che Nicodemo è stato il responsabile nazionale della comunicazione del Pd tra il 2013 e il 2014 e questo fa sì che al di là del suo disinteressato obiettivo si celi anche la necessità del Partito Democratico di guadagnare una capacità comunicativa in grado di tener testa allo strapotere (per lo meno sulla Rete) del suo principale oppositore mediatico e politico: il Movimento 5 stelle. Lo stesso Andrea Benedino, assessore alla cultura d’Ivrea, ha richiamato questa singolarità del M5S: «Governare il sentimento della rete è il manifesto del M5S che è e che verrà». Il PD, in questa fase di crisi, è consapevole di doversi reinventare anche a livello comunicativo per tenere testa ad un M5S che ha fatto della comunicazione online la sua punta di diamante per le elezioni politiche, ma quel che non risulta chiaro è come si vorrà reiventare.
Nicodemo propone un lento, ma inesorabile logorio delle “camere di eco” online al fine di creare delle “finestre” attraverso cui far filtrare un ragionamento più democratico e meno barbaro. D’altro canto, la presidente del Consiglio Elisabetta Ballurio, presente all’incontro, nel ricordare al pubblico la sua volontà di dialogare con il gruppo di estrema destra eporediese sembra aver compreso le potenzialità politiche di queste “camere di eco” che si scontrano e che nell’urto mettono in risalto persone e iniziative.
Non si sa ancora bene quale strada il Partito Democratico sceglierà di intraprendere, ma di fronte ad uno strumento in grado di spostare enormi pacchetti di voti in breve tempo difficilmente la politica resterà a guardare.
Andrea Bertolino