Dei quattro nuovi docenti di storia e filosofia che nel settembre del 1994 presero la cattedra al liceo ‘Gramsci’ di Ivrea, Franco Racco era sicuramente il più taciturno e riservato, il più gentile e il più serio. Oltre che dal suo modo di porsi, la sua serietà si denotava anche dalla sobrietà con cui vestiva e dagli stessi occhiali che montava: si intuiva inoltre anche da come si muoveva, dai discorsi che faceva, come pure dal tono baritonale della sua voce, dalle parole, sempre basse, controllate e soprattutto attente a non essere mai invadenti e impositive. Ciò, però, non vuol dire affatto che egli non avesse le sue idee, profonde e ben radicate, che sapeva all’occasione difendere e affermare. La sua gentilezza era così tangibile che certuni la prendevano come segno di remissività, se non addirittura di debolezza. Quasi incompatibile con gli indirizzi sperimentali a cui era stato assegnato, lui che aveva un approccio didattico classico e severo, Franco rimase solo un anno allo scientifico Gramsci, preferendo il classico di Chivasso, il ‘Newton’, a lui certamente più consono e più comodo, visto che abitava a Montanaro.
Molto tempo dopo, lo rividi alla stazione di Chivasso. In quell’occasione mi comunicò amichevolmente dell’indizione di un dottorato, al quale poi ci rivedemmo. In seguito lo incontrai nella sua Montanaro, a una manifestazione contro la proposta di qualcuno che pensava di dedicare un luogo pubblico a un noto politicante fascista. A conclusione di quella protesta, Franco mi volle offrire un caffè a casa sua. Mi stupì subito la cucina, tirata a lucido, e la libreria, ordinatissima. Chiacchierammo allegramente per circa un’oretta del più e del meno, poi mi lasciò il suo numero di telefono, nel caso si fosse combinato qualche incontro con i colleghi di Ivrea.
Sabato scorso, 5 agosto, in questo quanto mai torrido agosto, a un anno dalla pensione, – differita sempre più in là nel tempo dai governi a causa della crisi economica e per la fredda ragion di Stato – per un’ischemia cerebrale, Franco, del tutto inaspettatamente, come se ne vanno le persone semplici e serie come lui, se n’è andato. A sessant’un anni.
Ci è però molto difficile e doloroso concludere questo breve ricordo. Perché non appena appresa la triste notizia, ci è sembrata già in qualche modo avvisata anche tutta quella categoria di docenti onesti e coscienziosi che, per tempo, avrebbe il più che meritato diritto di poter godere della pensione e che, invece, come si vede, quella assurda e colpevole norma dilatoria continua a negare ad essi. D’altronde la possibilità di “far cassa” in tempi di crisi, potendo eventualmente non pagare le pensioni di docenti ancora in servizio in età avanzata, segue una logica mercantile che non dovrebbe essere adottata dalle istituzioni democratiche della Repubblica, il cui dovere fondamentale è la tutela dei cittadini. E su ciò converrebbe, ne siamo quasi sicuri, anche il nostro caro collega scomparso.
Franco Di Giorgi