“Il sentiero più pericoloso del mondo… dicevano”. “El caminito del Rey”, il sentiero restaurato nelle gole del fiume Guadalhorce, tra Ardales ed Alora (Malaga – Spagna), 07.06.2017
Diceva una leggenda metropolitana, che per anni si è estesa da nord a sud e da est a ovest del globo terrestre, che il “Caminito del Rey” fosse il sentiero “più pericoloso del mondo”, il sogno dorato di ogni appassionato degli sport estremi. Ancora oggi qualche spregiudicato promotore continua a dirlo. Era vero tempo fa, non adesso. Le condizioni di questo sentiero, costruito agli inizi del secolo XX ed usato per anni da chiunque, erano andate peggiorando fino a quando fu dichiarato inaccessibile alla popolazione normale. Non fu però vietato il suo accesso a chi, con preparazione tecnica e conoscenza dei rischi, si decideva a percorrerlo. Il cemento e il legno delle strette e a volte ripide passerelle, sospese a grande altezza nel vuoto, si erano logorati. Le alte pareti di dolomia sulle quali erano quasi miracolosamente istallate non davano scampo. Non mancarono purtroppo gravi incidenti e qualche morte per alimentare la leggenda. Nell’anno 2000 viene vietato l’ingresso a chiunque. Nel 2015, dopo una straordinaria opera di recupero architettonico che ha dello stupefacente, il sentiero viene riaperto, anche se a pagamento e come attrazione turistica e culturale, ad ogni persona sopra gli otto anni purché non soffra di vertigini o di paura del vuoto.
Ed eccomi qui, con il casco di sicurezza in testa, pronto a percorrerlo. Non sono preoccupato e non è l’improbabile pericolo che mi eccita. Mi incuriosisce, sì, ma voglio soprattutto godermi la bellezza di queste strette ed alte gole, la varietà delle loro forme geologiche, l’incanto della macchia mediterranea e, se sono fortunato, il fascino dei grandi rapaci che sorvolano la zona. Anche l’aperto paesaggio di ondeggianti colline e di laghi artificiali dal blu intenso, che si contempla prima di arrivare all’impervia zona, è di una calida e mediterranea bellezza: il giallo-verde del finocchio, le macchie dei cardi gialli e blu, gli alberi di arancio e di limone, gli odorosi pini, gli oleandri,… Accanto a me persone in necessario abbigliamento da scalata, turisti attrezzati alla meglio, famiglie con nonna accanto, giovani e meno giovani: questa signora in sovrappeso e su con gli anni sicuramente ce la farà. Il percorso adesso rimane spettacolare ma alla portata di quasi tutti. Saranno sette chilometri dei quali più di tre sospesi nel vuoto verticale delle alte e strette gole.
Ho visto volare i grandi e maestosi grifoni, in molte coppie e in un’occasione a bassa quota, ma dicono che ci siano anche avvoltoi egiziani e aquile reali, falchi…; mi sono goduto i variegati paesaggi, i boschi di cisti e di querce, di pini e lentischi, di olivi selvatici e di allori, di mirti, ginepri, ginestre, palme nane, tassi, maggiorane, rosmarini… e giù, in fondo, dove scorre il fiume, le calide macchie degli oleandri e dei tamerici, i pioppi, i salici… Mi sono lasciato imbambolare dalle forme delle rocce, dalle pieghe della pietra verticale, dalle strette ombrose gole e dagli inquietanti anfratti; percorrendo queste strette passerelle in vetro, legno e acciaio inchiodate sul vuoto mi sono sentito potente e vulnerabile insieme, piccolo animale fuori dallo spazio e dal tempo, o, forse, in uno spazio ed un tempo altri, vicini e lontani, tutto sommato umani.
Adesso ho appena superato il ponte angusto e leggero sospeso a più di centro metri sul vuoto; sono quasi alla fine del percorso, il vento convogliato nella strettissima gola soffia forte e rumorosamente; bisogna aggrapparsi bene alle funi…
Sono nato non lontano da questi luoghi. Da piccolo sentivo parlare de “Il chorro”, il salto d’acqua che produceva l’elettricità che consumavamo, e rendeva disponibile anche l’acqua potabile. E’ per costruire e mantenere queste istallazioni che fu costruito, da marinai senza vertigini, esperti in legni, vuoto e altezze, il “Caminito del Rey”. Poi lo usarono gli operai della manutenzione. Poi diventò l’impervia e aerea scorciatoia che usavano, giorno e notte, donne, uomini e scolari per superare le montagne. Era un percorso vivo. Mentre lo percorrevo ho immaginato quei tempi andati che sono all’origine della nostra modernità e quegli operai e poi quei bambini, donne e uomini che lo percorrevano. Vale la pena che sia stato restaurato. È della memoria recuperata che si incarna di nuovo in uno spazio fisico che spesso si retroalimenta la Storia.
Paco Domene