La manifestazione per la Palestina a Milano il 22 settembre
Una bellissima manifestazione a Milano, nella mia città, il giorno dello sciopero, il 22 settembre. Ieri.
Sotto l’acqua scrosciante eravamo tantissimi. Mi permetto ancora di chiamarla processione laica, in quanto è più quella la condizione in cui ci muoviamo piuttosto che la forma corteo.
Un corteo, nel mio vocabolario, prevede una piattaforma, una direzione o comunque una gestione strategica. Mi pare che non sia così per queste manifestazioni. Qualcuno indice, si occupa del suo, in migliaia – a proposito ieri il corteo si è gonfiato cammin facendo e eravamo almeno in 50 mila ad occhio e croce – aderiscono piccole associazioni, singoli cittadini e cani sciolti.
E’ lo specchio della società moderna, iper frazionata, disgregata e senza soggetti che contendono il potere. Insomma è stata una bellissima processione laica, così è almeno fino alla fine. Partiamo da Cairoli, un grande classico, giriamo su noi stessi e torniamo in Cairoli.Immagino per decomprimere la piazza.
Scuole di ogni ordine e grado, anche i più piccini, segno che siamo quelli che pongono la questione del futuro. Voglio andare verso la testa. Ci vado con il Sottile, di nome e di fatto. Un caro amico con cui spacchiamo il capello in quattro per capire e chiamare le cose con il loro nome. Lo perdo; poi ci ritroviamo.
Ci riperderemo e ci ritroveremo più volte nel flusso della camminata. Il primo ritrovo all’Ago di Cadorna, come se ricucissimo gli strappi di 40 anni di neoliberismo. Saluto altri di quella che è la mia comunità politica milanese, ancora presente. Raggiungo la testa, vedo lo striscione. “Nemmeno un chiodo per Israele”. Ostia! Questa non me l’aspettavo. “Mai striscione mi è stato più congeniale” scrivo sulla mia pagina FB. Quella pagina la uso e la userò per costruire, finché l’algoritmo mi lascerà uno spazio anche minimo. Prima o poi però l’abbandonerò.
Incontro Andrea, un altro amico, parliamo, ci aggiorniamo. Ci siamo scritti da poco, raccontati delle reciproche difficoltà; le mie nel Circolo Tavo Burat a Biella, le sue nel presidio per Gaza, iniziativa che da mesi compie una silenziosa e importante testimonianza in piazza del Duomo, a Milano.
Arriviamo in Centrale. Con la coda dell’occhio vedo “movimenti”, Torniamo in Duca d’Aosta. La polizia si mette i caschi, sono in tenuta antisommossa. Urla nel corridoio antistante l’ingresso alla stazione, dove una volta scorrevano i Taxi. La polizia chiude tutti gli accessi, non solo davanti, ma in tutta la stazione. Il pezzo della processione che si è infilata nel corridoio è in trappola. Voleva bloccare tutto all’urlo di “Tout le monde déteste la police”. Non è uno slogan che conosco. Chiedo al Sottile, me lo traduce e me lo spiega. Penso: “mica è vero, la maggioranza invoca polizia e sicurezza”. Poi me ne sono andato. Non ho tempo da perdere in cinema di piazza, mi sono detto.
Uscendo in macchina da quella che fu la mia città, attraversando l’esondazione del Seveso (che accade ogni volta che piove un po’ più del solito) accendo la radio, vado su Radio Popolare e ascolto le dinamiche degli scontri. Penso a quando mi è successo a me. Penso alla rabbia che anni di falsità sul genocidio palestinese provoca. Penso che per cambiare il mondo senza prendere il potere, come scrisse Holloway dobbiamo costruire molto consenso e che bloccare tutto ci costringe, invece, in un recinto.
Cari ragazzi giovani e attempati, ieri eravate in tanti nel corridoio della Centrale. Sicuri, sicuri che sia il passaggio giusto? Dalla rabbia covata nelle processioni all’immediato assalto ai servizi pubblici essenziali? Forse è meglio che quello lo facciano i portuali, hanno più esperienza nei blocchi della logistica. Noi altri pensiamo a conoscerci, a metterci in cammino, a costruire altri modi di vivere. I tempi sono difficili, e lo saranno sempre di più, non facciamo esattamente ciò che il potere ci chiede.
Sarebbe poco sottile, e, per uscire dal vicolo cieco in cui siamo, ci vuole sottigliezza, anche per gestire la rabbia.
Ettore Macchieraldo