Liste di attesa infinite, rinuncia alla cura, una sistema sanitario frammentato in 20 sistemi regionali, tanti gli allarmi, ma scarse le riforme strutturali a favore della salute pubblica e servizio sanitario pubblico. Le “aziende” sanitarie mostrano, come era prevedibile, la totale inadeguatezza al mandato costituzionale di universalità e gratuità della cura della salute. Anche in Piemonte siamo in piena emergenza con visite non prenotabili o fissate con mesi e mesi di ritardo oppure a centinaia di chilometri da casa.
«La sanità pubblica si sta avviando ad un punto di non ritorno con il concreto rischio che si perda un patrimonio di civiltà e un bene comune conquistato da una ampia mobilitazione sociale che ha reso esigibile un diritto costituzionale. – così si esprime Giosué Di Maro della Fp-Cgil campana nel suo articolo “Possiamo fermare la privatizzazione della sanità” pubblicato su blog “Lavoro e Salute” – I principi della legge 833 sono universalità di copertura, equità di accesso, uguaglianza di trattamento, uniformità territoriale della assistenza, solidarietà, riduzione delle disuguaglianze, prevenzione, programmazione, partecipazione democratica e finanziamento attraverso la progressività fiscale generale. Le controriforme successive alla istituzione del SSN nel 1978 hanno tradito i valori ispiratori della legge 833 allontanando l’obiettivo di costruire un sistema di tutela della salute pubblico, uniforme, equo e di ridurre le disuguaglianze.»
La rinuncia alla cura
Sicuramente un sintomo e causa al tempo stesso della carenza del sistema sanitario pubblico sono i tempi di attesa per esami e visite, inadeguati al principio della cura. Stiamo già pagando pesantemente l’impossibilità di curarsi per una gran parte della popolazione a causa di liste di attesa con tempi lunghissimi o addirittura inaccessibili per mancanza di appuntamenti; eppure non si intravvedono né a livello nazionale né regionale azioni atte a rafforzare il sistema sanitario pubblico, per la felicità delle strutture private.
L’accesso alle cure in Italia è negato a circa 4,5 milioni di persone, costrette a rinunciare a esami e visite a causa dei tempi d’attesa eccessivamente lunghi e dell’impossibilità di rivolgersi al privato per l’alto costo. Questa condizione, che perdura da anni, avrà un forte impatto negativo sulla salute pubblica e anche sulla sostenibilità economica del SSN.
Più a rischio anziani e classe medio basse. L’Istituto superiore di sanità (ISS) con la sua indagine “Passi d’argento”, svolta nel biennio 2022-2023, evidenzia che ben il 18% delle persone con più di 65 anni dice di rinunciare ad almeno una visita medica o a un esame. Rinunciano di più le donne, il 25% contro il 21% degli uomini, e le persone in difficoltà economica o con una bassa istruzione, e geograficamente si rinuncia di più alle cure al centro-sud che al nord. Ma nel grafico possiamo notare che il Piemonte si colloca sopra la media nazionale per numero di persone che rinunciano a curarsi.
L’ISS ci dice che il perdurare della rinuncia alle cure provoca aumenti dei costi per la collettività: la mancata prevenzione porta ad un maggiore utilizzo dei pronto soccorso e maggiori ricoveri in ospedale. Servizi che costano ben di più della prevenzione. «Negare o rendere difficile l’accesso a queste cure preventive compromette, di conseguenza, la salute futura della popolazione e aumenta le disuguaglianze nell’accesso alla salute», afferma l’ISS.
Le liste di attesa: il fulcro del problema
La modifica del Titolo V della Costituzione che ha assegnato alle Regioni la gestione della sanità e la successiva modifica che ha trasformato le USL (Unità Sanitarie Locali) in ASL (Aziende Sanitarie Locali), dunque in soggetti che devono fare “profitti”, ha creato non una rete per la salute e la sanità, ma 20 sistemi sanitari differenti ognuno con diverse politiche, criteri e funzionamento. Sono così notevoli le differenze tra le Regioni nella rendicontazione dei tempi di attesa sulle prestazioni ambulatoriali del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Questo rende complicata un’analisi nazionale e di conseguenza difficile costruire l’impianto necessario per avviare, qualora ce ne fosse la reale volontà politica, una revisione del sistema sanitario atto a favorire tempi di cura adeguati e certi. «I tempi di attesa – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – sono oggi il sintomo più grave ed evidente della crisi organizzativa e professionale del SSN. Questo crea pesanti disagi per i pazienti, peggiora gli esiti di salute e fa lievitare la spesa privata, che impoverisce le famiglie e può portare anche a rinunciare alle cure. Ma, paradossalmente, a fronte della rilevanza del problema, non esiste una rendicontazione pubblica completa e trasparente sui tempi di attesa». Anche la nostra regione Piemonte presenta i dati solo per azienda sanitaria, non esiste il dato aggregato regionale.
I tempi di attesa nella nostra AslTo4
I siti delle singole Asl, almeno in Piemonte, devono riportare una tabella con i tempi di attesa previsti per singola prestazione. Nell’AslTo4 questo report è mensile.
Ricordando che esistono quattro codici di priorità:
”U” (Urgente): da eseguire nel più breve tempo possibile e, comunque, entro 72 ore.
”B” (Breve): da eseguire entro 10 giorni.
”D” (Differibile): da eseguire entro 30 giorni per le visite o 60 giorni per gli accertamenti diagnostici.
”P” (Programmabile): da eseguire entro 120 giorni.
prendiamo il report di marzo 2025 e concentriamoci su Ivrea, ecco alcuni dati (relativi al codice di priorità D) per prime visite e alcuni esami:
- cardiologia 247 giorni al Poliambulatorio (in linea con gli altri ospedali e ambulatori) e 28 alla Clinica Eporediese
- endocrinologia al Poliambulatorio 245 giorni, non ci sono altre strutture disponibili
- neurologia all’Ospedale 239 giorni, non altre strutture
- oculistica … non pervenuta
- ortopedia, solo Clinica Eporediese 21 giorni, nessuna struttura pubblica
- ostetricia e ginecologia Poliambulatorio 121 giorni, Ospedale 134
- otorinolaringoiatra Ospedale 106 Poliambulatorio 108
- spirometria semplice Ospedale di Ivrea 330 giorni
Ma tutti hanno sperimentato il caso più comune di “agenda non disponibile”, nonostante questa situazione molto diffusa sia illegale: le strutture sanitarie pubbliche sono tenute a garantire sempre la possibilità di prenotare. Il Ministro della Salute mette fra le cause di questa pratica illecita i «medici che rifiutano di rendere disponibili le proprie agende di lavoro al sistema di prenotazione unificato; professionisti che limitano la propria attività nel servizio pubblico privilegiando quella privata in intramoenia, creando così un sistema a due velocità». Naturalmente in queste cattive pratiche c’è la responsabilità dei dirigenti delle Asl che non esercitano i dovuti controlli su situazioni che le ispezioni dei Nas hanno dimostrato essere sistematiche.
E, ciliegina (amara) sulla torta … Dal portale del CUP Piemonte provate a selezionare Intramoenia, magicamente nel giro di pochi giorni avrete un appuntamento per la vostra visita, privata e a pagamento, naturalmente, anche se nelle mura ospedaliere.
Il Percorso di tutela c’è ma è laborioso
Il legislatore ha pensato ad una tutela per i cittadini nel caso di ritardo delle visite nelle strutture pubbliche del sistema sanitario. L’ha scritta nel decreto legge, il 124 del 1998 all’art. 3, c. 13, “qualora l’attesa della prestazione richiesta si prolunghi oltre il termine fissato dal direttore generale (…), l’assistito può chiedere che la prestazione venga resa nell’ambito dell’attività liberoprofessionale intramuraria” pagando solo la quota del ticket, mentre la differenza fra questo e la tariffa del medico è a carico dell’Asl. Il legislatore non si è però raccomandato di adottare procedure agili per facilitare l’utente a richiedere questa via, così le regioni hanno costruito percorsi complessi che ne scoraggiano l’utilizzo e soprattutto, ovviamente, non pubblicizzano questa opzione.
Cadigia Perini