Intercultura promuove la pace attraverso la conoscenza reciproca dell’altro, senza pregiudizi o stereotipi. Questo messaggio viene promosso con l’invio delle ragazze e dei ragazzi in altri paesi e l’ospitalità di loro coetanei da tutto il mondo. Continuiamo la pubblicazione delle testimonianze nella rubrica “Ospitalità” a cura del Centro locale di Ivrea.
Il racconto Federica e Francesca, sorelle di Coco dalla Cina
La nostra esperienza con Coco ci ha aperto ad una conoscenza nuova. Essendo sempre state due sorelle, avere per la prima volta un fratello in casa non era qualcosa che avevamo previsto, e soprattutto un fratello appartenente ad una cultura diversa. Eppure, nel poco tempo (perché poco alla fine ci sono sembrati quattro mesi) in cui Coco è stato qui, è diventato davvero parte della famiglia, e credo che il legame che si è creato sia qualcosa che solo Intercultura sa dare. La nostra esperienza con Intercultura non è stata solo di ospitalità; infatti, entrambe siamo partite per un periodo all’estero (in Costa Rica per sei mesi e in Cina per un anno). Quando hai l’opportunità di venire effettivamente adottato per un anno, la tua famiglia si allarga e improvvisamente diventi parte di due famiglie (quella naturale e quella ospitante). Ospitare un ragazzo straniero non è come partire per un periodo all’estero… così come sappiamo che noi saremo sempre figlie delle nostre famiglie in Cina e Costa Rica, così come Coco sarà sempre nostro fratello.
Il racconto di Diego, papà ospitante
Prima di “ospitare” Natchayanan e Raphaël ero papà di tre figli, adesso posso dire di averne cinque… fortunatamente non tutti da mantenere! Il pensiero di come stanno e cosa fanno Natchayanan e Raphaël nei loro paesi è quotidiano.
È indubbio che la nostra esperienza come famiglia ospitante è stata molto fortunata.
Natchayanan, ma tutti l’hanno conosciuta come Guitar (in Thailandia è la normalità avere un soprannome), ha trascorso con noi 11 mesi e a parte il primo periodo di ambientamento si è inserita nella famiglia in tutto e per tutto. La differenza negli usi e costumi, ampiamente descritta nel corso di preparazione dai volontari di Intercultura, ma ancora di più le differenze linguistiche, sono stati gli ostacoli dei primi tempi. La sua vita in famiglia è decollata anche grazie al suo buon inserimento a scuola e ai suoi fratelli. Guitar aveva molte amicizie e le piaceva essere circondata di persone, cosa in casa nostra è d’abitudine, ma non sono mai mancati momenti “di famiglia” con condivisioni e coccole. L’ho sentita dire molte volte alla sua mamma italiana che è stata la mano del destino a farci incontrare ed infatti non ci siamo più lasciati.
Con Raph è stato tutto un po’ diverso invece; infatti, non era prevista una nuova ospitalità l’anno successivo a Guitar, ma lui necessitava di una famiglia per terminare il suo programma annuale ad Ivrea e nostra figlia era appena rientrata dal suo anno all’estero in Costa Rica e ha chiesto di poter fare anche lei l’esperienza di famiglia ospitante ed è stata accontentata. Con Raph, che arrivava dalla Francia, l’impatto culturale e linguistico è stato minore, ma era pur sempre un adolescente lontano da casa sua. E’ stato semplice volergli bene e anche lui, come Guitar, si è integrato con noi, con i fratelli e gli amici molto bene. Un particolare momento lo ricordo con emozione è stato quando mi ha chiamato “papà”, in quanto lui è orfano di padre e questo ha reso il mio cuore ancora più grande.
Come ho detto, probabilmente siamo stati molto fortunati ma, ad onor del vero, dico che questa fortuna è stata costruita. Ci vuole apertura mentale, dialogo, confronto. Il fatto di avere dei figli non ci rende automaticamente “imparati”. Ognuno è diverso e reputo che queste esperienze arricchiscono. Questa è la fortuna di ospitare un ragazzo straniero.