Il 25 novembre anche in provincia

Contributo del collettivo transfemminista intersezionale Provincialotta di Ciriè

Riempire di significato il 25 novembre in una piccola città di provincia è una sfida. Per un collettivo transfemminista come il nostro significa sfruttare con tutte le energie disponibili quella, troppo piccola, finestra di attenzione che la comunità riserva alle tematiche della violenza di genere. Condensare in pochi giorni la fatica di anni di lavoro, analisi politica, discussioni e autocoscienza. Ci chiediamo sempre: come trasmettiamo alla nostra intera comunità le nostre pratiche? Il femminismo ci piace perché, come diciamo noi, cancella la differenza tra teoria e pratica. Attraverso le nostre azioni possiamo innescare piccole rivoluzioni di coscienza, con l’obiettivo che siano condivise nella collettività. Siamo convinte che non esistano soluzioni individuali a problemi sistemici.

Il difficile sta ancora nel codificare in maniera comprensibile a tuttx l’intersezionalità, senza semplificazioni che la banalizzino. Nella nostra città, Ciriè, abbiamo ingaggiato una particolare battaglia intorno al diritto all’aborto, vista l’infelice parabola del nostro nosocomio: unico ospedale in Piemonte con il 100% di obiettori di coscienza fino al 2022. Negli anni abbiamo approfittato della ricorrenza del 25 novembre per parlare di IVG, di contraccezione, di accesso ai consultori e spesso ci siamo sentite rispondere: ma cosa c’entra l’aborto con la violenza domestica? Con lo stalking, le denunce?

Crediamo che “unire i puntini” sia il processo attraverso cui si dà un nome alle cose e si decostruiscono dinamiche interiorizzate di ogni tipo: patriarcali, coloniali e razziste, abiliste e classiste. Occorre avere chiaro un quadro generale della realtà, che comprenda il sistema in cui viviamo sì come plurale, ma anche organico. Impedire alle donne di accedere alla pratica abortiva in maniera libera e sicura è una forma di violenza di genere, poiché la matrice del diritto violato è la medesima del femminicidio, della violenza psicologica, delle molestie di strada. Tale matrice, di tipo patriarcale e capitalistico, si può riassumere nel principio di controllo del corpo riproduttivo della società, ovvero quello delle donne e delle persone con utero.

Come collettivo di provincia godiamo di un punto di osservazione marginale della società, che ci dà una visione più cruda e integrale del “centro”. La nostra rabbia rispetto all’ingiustizia in cui siamo immersx spesso è risuonata come una voce nel deserto della nostra periferia e questo tipo di vissuto produce visioni e posizionamenti politici anche piuttosto radicali in chi fa attivismo. L’impatto con una comunità fisiologicamente più conservatrice e spaventata da novità e cambiamenti può addirittura essere scioccante, e lo sappiamo bene dopo tre edizioni di Pride a Ciriè.
Insomma, come tradurre le lotte intersezionali per coinvolgere sempre più alleatx nelle nostre piccole comunità? Fare rete è uno dei nostri punti di forza: il grande “centro” metropolitano non è un luogo irraggiungibile, anzi, è proprio attraverso la sinergia con esso che troviamo reciproca legittimazione e supporto per le nostre battaglie. E’ importante che il centro guardi a noi come noi guardiamo ad esso. Riconoscersi ci ha permesso di creare un flusso di discorsi e pratiche di cui noi stesse siamo il tramite (d’altronde, abbiamo passato una vita da pendolari).

La radicalità sarà un tratto caratteristico del nostro attivismo in provincia ancora per lungo tempo, ma crediamo non sia giusto negoziarla. Il paesino di 15.000 abitanti, o addirittura meno, è il banco di prova, è la zona limite. E’ dai bordi che noi iniziamo a rivendicare i nostri spazi di esistenza, e se non funziona lì, non funzionerà neppure al centro.
Riteniamo assolutamente peculiare il tipo di dialogo che intratteniamo con le istituzioni, le amministrazioni, le autorità. Quando si è in pochx spesso lo scontro di principi si riduce ad uno scontro uno a uno: non un corteo sotto il palazzo della Regione, ma magari un gruppo di tre persone faccia a faccia con un consigliere comunale. La radicalità del pensiero è il tesoro di chi si sovraespone facendo attivismo in provincia.

Questo 25 novembre ha rispecchiato nuovamente questa serie di riflessioni. Ci siamo organizzate a Ciriè con una mobilitazione di tre giorni che comprendesse sia il momento di assemblea pubblica, sia quello artistico e festoso di decompressione, sia quello di piazza. Infine come collettivo abbiamo preso parte alle manifestazioni nazionale e territoriale, a Roma e a Torino. La tre giorni, dal titolo “Demoni del focolare”, ha avuto un focus specifico su rabbia e cura collettiva, temi discussi in assemblea, vissuti da noi in prima persona in questi giorni di attività febbrile e messi in atto attraverso il ricordo attivo delle vittime di femminicidio del 2024, ovvero formazione ed educazione della cittadinanza sulla prevenzione della violenza.
Un lavoro sfaccettato per tentare di rispondere a ciò che sentiamo come un urgente bisogno del contesto in cui viviamo: l’ascolto, la condivisione, la decostruzione, l’azione diretta.