Nessuna transizione ecologica possibile se non si cambia il sistema
Nell’arco di un mese ho incontrato e cercato più volte Pier Paolo Pasolini. No, niente sedute spiritiche… Ho incontrato e cercato il poeta, saggista, narratore e regista italiano in scritti e canzoni che mi sono capitati in questi ultimi due mesi.
Visto che non credo alla casualità, cerco di unire i punti e dare un senso.
Tirai fuori dalla memoria un vecchio articolo di Pasolini per suggerirlo come lettura al maturando che avevo in casa, era circa inizio giugno scorso.
Era l’articolo Il vuoto del potere; ovvero “l’articolo delle lucciole”; pubblicato il 1 febbraio del 1975 su Il Corriere della Sera.
In quell’articolo venne fatta una lucida denuncia su come stesse cambiando la società italiana, in apparente assenza di un potere che la indirizzasse.
In realtà il potere, che portò un’Italia ancora rurale alla metabolizzazione della società dei consumi, fu poco visibile ma ci fu.
Pasolini lo indicò con chiarezza nella chiusa del suo articolo: “Ad ogni modo, quanto a me (se ciò ha qualche interesse per il lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale, darei l’intera Montedison per una lucciola” indicando, così, nella scomparsa delle lucciole l’emblematico effetto della modernizzazione.
Lessi lo stesso articolo nell’incontro “Letture al Solstizio” presso la Sala Incontro di Roppolo, il paese in Piemonte dove abito, organizzato dalle volontarie della biblioteca.
Lo citai successivamente durante i festeggiamenti per la vittoria, anche se non ancora
definitiva, sul progetto di A2A, la multiutility che vuole costruire a 5 km da Roppolo, esattamente a Cavaglià, un inceneritore.
Lo vorrebbe fare in un’area, la Valledora, dove 40 anni fa si coltivavano ancora mele e dove, ora, troverete un’immensa distesa di cave e discariche.
Insomma proprio un luogo simbolo di “quel qualcosa che ha portato alla scomparsa delle lucciole” di cui scrisse Pasolini. Una modernizzazione da cui non conseguì nessun progresso, solo rifiuti e desolazione.
Faccio un salto temporale e vengo a oggi. Domenica 28 luglio, più correttamente ieri, ho ascoltato un bellissimo concerto in un posto meraviglioso. Per la festa de La Trappa di Sordevolo, Alessandro Centolanza e “Gli splendidi” propongono una rivisitazione delle canzoni di Domenico Modugno.
Un’esperienza veramente arricchente, specie per l’anima. Tra le canzoni vi è anche Cosa sono le nuvole , voce e arrangiamenti di Modugno e testo di Pasolini. Non può essere un caso! Una musica usata per un cortometraggio in cui ci sono Totò, Ninetto Davoli, Ciccio e Franco, Laura Betti e lo stesso Domenico Modugno.
Un opera breve di Pasolini che racchiude un messaggio di speranza, in fondo il suo testamento.
“il derubato che sorride
ruba qualcosa al ladro
ma il derubato che piange
ruba qualcosa a se stesso
perciò io vi dico finché sorriderò
tu non sarai perduta”
Anche nella trasformazione che il poeta denuncia con “la scomparsa delle lucciole” si può mantenere il senso sacro della vita e della verità, una volta che gli si da il suo giusto peso. Il senso della libertà in fondo è proprio questo. Veniamo all’ultima citazione di Pasolini in cui mi sono imbattuto negli ultimi tempi, tra la lettura dell’articolo sulle lucciole e la canzone di Modugno. L’affermazione è la seguente: “Dunque, bisogna lottare per la conservazione di tutte le forme alterne e subalterne di cultura” E’ parte di una più lunga citazione, sempre di Pasolini.
Se siete arrivati a leggere fino a qui vi starete chiedendo: Questa dove l’ha scovata?
Esattamente tra gli editoriali di Gustavo Buratti , detto Tavo Burat. Una raccolta, che sto voracemente leggendo, donatami da Daniele Gamba, ex presidente del circolo di Legambiente di Biella.
Circolo a cui ero iscritto quando fu di Legambiente e a cui continuo ad esserlo ora che non lo è più. Scrivo “ex”, infatti, perché il circolo di Biella è stato espulso da Legambiente e, tutto sommato, anche questa vicenda ha molto a che fare con quello che sto raccontando in questo pezzo.
Torniamo al libro, con gli scritti di Buratti e curato nel 2010 dallo stesso Gamba, si intitola “Parlè an salita”, Edizioni Ieri e oggi di Biella.
Al suo interno vi sono tutti gli editoriali che “il Tavo” scrisse per Biellese Proletario, poi Biellesario. Lo scritto in cui ho trovato la citazione di Pasolini più sopra riportata, in realtà parte di un messaggio al congresso del Partito Radicale del 1975, riguarda un convegno sulla cultura delle Alpi che si tenne in Val Bregaglia nel 1985.
Il messaggio di Pasolini, come anche l’editoriale del Tavo, invitava a “trovare forme alterne e subalterne di cultura dappertutto: ai centri delle città, e negli angoli più lontani, più morti, più infrequentabili”, a “continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretenderne, a volere, a identificarsi col diverso”.
Questa citazione chiarisce, a mio avviso, la non casualità di questi incontri avvenuti con Pasolini negli ultimi mesi.
Porta lucidamente a considerare quanto sia necessaria, ancor di più oggi rispetto a cinquanta anni fa, un’alternativa; o meglio, più alternative.
Esse ci servono per contrastare non solo il continuo dilagare di quel potere ammantato di modernità che tuttora imperversa, ma anche quel finto progressismo retorico che vuole cancellare ogni identità altra, ogni differenza e specificità per allinearsi al “moderno”, a quello che è designato come paradigma ineluttabile: il ben noto There Is Not Alternative.
Invece proprio dalle differenze bisogna ripartire. Le alterità sono le libertà che possono fare, appunto, la differenza. E’ l’unica strada percorribile per evitare il suicidio dell’umanità e contenere i danni alla natura: avere la capacità di recuperare culture altre, anche antagoniste, per trovare le strade da intraprendere al fine di riparare i danni fin qui fatti dal capitalismo, specie nella versione neo liberale.
Questo paradigma economico-culturale si affermò proprio dagli anni 80 del ‘900 e cominciò la sua opera di egemonia che Pasolini, profeticamente, anticipò.
Ecco, l’ho detto, se non si cambia sistema nessuna transizione ecologica sarà possibile, solo il suo scimmiottamento.
Ettore Macchieraldo