A proposito della condanna per omicidio del tabaccaio di Pavone

Una lezione per la comunità eporediese che, cinque anni fa, toccò su questa vicenda il suo livello più basso di civiltà

Ci sono voluti cinque anni dai fatti e una condanna a 5 anni di reclusione perché il tabaccaio di Pavone (di fronte allo stabilimento Dayco di San Bernardo a Ivrea) che sparò e uccise un ladro nella notte del 7 giugno 2019 arrivasse a dire, almeno a quanto riporta La Sentinella: «Non rifarei nulla, piuttosto mi sparo in un piede», anche se resta «abbastanza deluso dalla sentenza perché mi aspettavo l’assoluzione».


Accusato inizialmente di omicidio colposo per eccesso di legittima difesa, l’imputazione si trasformò poi in omicidio volontario a seguito di una perizia che rilevò come il tabaccaio avesse mirato e sparato (ben sette volte) dal balcone a uno dei ladri che scappavano, il moldavo Ian Stavila di 24 anni, che rimase ucciso.
La famiglia della vittima sarebbe stata risarcita (“con poco più di ventimila euro”, informa sempre La Sentinella) e, con questa attenuante, insieme a quella della “provocazione” e alle “generiche”, con la scelta del rito abbreviato la condanna si è ridotta a 5 anni, invece dei 12 richiesti dal Pubblico Ministero. Una richiesta tutto sommato modesta per un omicidio volontario.

Una vicenda orribile, che avrebbe meritato compassione (per il giovane ucciso e per il commerciante col peso di aver stroncato una vita) e che invece, cinque anni fa, vide subito scatenarsi i soliti Salvini, Meloni e loro followers con l’immancabile #stocoltabaccaio.
E fin qui niente di nuovo e niente di diverso da quanto sempre fatto da personaggi come questi.
La differenza fu la manifestazione organizzata pochi giorni dopo a San Bernardo da “commercianti e cittadini della zona” alla quale prese parte anche qualche ex consigliere comunale all’epoca ancora del PD (poi passati a Italia Viva) e persino il sindaco Sertoli “a titolo personale”.
Fu, come già notammo su queste pagine, “il più basso livello di civiltà toccato dalla città”. Ricordare oggi, dopo la prima sentenza di condanna dell’omicida, questa triste e buia pagina della storia di Ivrea, può servire di lezione per evitare che possa capitare di nuovo.
Perché si può pure avere la massima considerazione per la proprietà privata, perché si può anche giustamente ripetere che “fino a sentenza definitiva nessuno è colpevole” (salvo i poveracci), ma vedere dei cittadini mobilitarsi a fianco di chi senza dubbio ha ucciso, è francamente inaccettabile per una comunità civile.
E cadute come quella di cinque anni fa Ivrea non se le può permettere.

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