L’incontro “Automazione e Occupazione: il futuro del lavoro con l’AI” di venerdì 26 aprile allo Zac! organizzato da Nes, ZAC!, varieventuali e Circolo Legambiente Dora Baltea, ha riscosso grande interesse nell’ampio pubblico presente. Ha aperto riflessioni e immaginazione.
Caro Clint Eastwood, innanzitutto permettimi il tono confidenziale, che una star del tuo calibro saprà accettare in nome della considerazione che ti porto. Io vivo in una piccola città della provincia italiana, ben lontana dai polverosi spazi dell’Iowa in cui tu guidi un vecchio pick-up dalle parti dei ponti di Madison County. L’altra sera ho rivisto questo tuo film, ennesimo fiore all’occhiello della tua regia, in cui tu e Meryl Streep vivete una di quelle storie che, se capitano, capitano una sola volta nella vita. Tu e Meryl vi innamorate e, detta così, sembra persino una cosa banale, un’affermazione zuccherosa e démodé. Viviamo nell’epoca dei sentimenti banditi, dello sconfessato romanticismo, della disumana aridità, un’epoca dove è difficile sorridere e rendere armoniosa l’esistenza. Sai, Clint, qui da noi, ma credo anche da voi, si dibatte spesso su un tema di grande attualità come l’intelligenza artificiale, questa nuova divinità dai super poteri in grado di promettere mirabilia e, al contempo, di aprire scenari inquietanti.
Siamo all’abbrivio della robotizzazione di massa, al dominio sempre più pervasivo della tecnologia, alla nascita di nuovi imperi digitali.
L’altra sera, qui da noi, c’era un professore di nome Norberto Patrignani che si occupa di queste cose, le studia e le insegna. E’ un docente informatico di notevole personalità, di ottimo eloquio e di stimata competenza. Sono venuti fuori discorsi di grande interesse e complessità con l’innesco di interrogativi sul futuro dell’occupazione su cui l’AI inciderà fatalmente sia in positivo che, ahimè, soprattutto in negativo. Caro Clint, adesso mi chiederai perché ti tiro in ballo con questa storia, ma mi giustifico perché nel mondo della connessione globale anche la mia mente si espone alla suggestione delle mescolanze. Mentre il professore parlava, nelle orecchie del sottoscritto, fluiva, non per cedimento di attenzione, ma come piacevole sottofondo, l’eco della colonna sonora del tuo film, il sound track, come la chiamate voi. Vedevo le diapositive a supporto di quanto esprimeva il professore e, al contempo sentivo, come una carezza di soavità, questa musica, questa melodia incantevole, questo alito di confortevole benessere. Quando il professore ha detto che Amazon costruisce, per i suoi nuovi impiegati, uffici senza finestre, la musica si è smorzata di tono. Gli impiegati senza finestre sono i robot che, per massimizzare i profitti costano di meno e possono operare tranquillamente al buio.
Il mondo sta evolvendo nella forma dello sviluppo che non si cura del progresso. Il 40% dei posti di lavoro di oggi, diceva il prof, saranno impattati dalle macchine. I prodromi di questa rivoluzione si sono già manifestati a partire dai pony express americani a cavallo, licenziati in massa con l’arrivo del telegrafo. Il computer ha già battuto il campione di scacchi Garry Kasparov nel 1996; il cervello artificiale ha vinto su quello umano, sgretolando anche la psiche e l’identità di Kasparov che, dopo di allora, ha dovuto consegnarsi a una stretta di cure psichiatriche. Insieme ai pony express e al re degli scacchi è stato accantonato, dunque, anche l’alone di poesia che si accompagnava a queste attività, il viaggio a cavallo e quello sulla scacchiera. Oggi, l’era tecnologica ci dice che dobbiamo rassegnarci al dominio delle macchine sovrane e al dogma del mercato. E se non esistono alternative, allora è come affermare che l’immaginazione è morta e che il mondo dell’automazione tecnologica è il nuovo mezzo di condizionamento di massa.
Ma, il professore non si arrende alla scomparsa dell’umano, sottolinea il fatto che abbiamo dissociato il pensiero dal linguaggio, difende la speranza che l’avvento dell’A.I. non ci schiavizzi, parla di “grande inganno”, di “turco meccanico” di “pappagallo stocastico”, di “snake oil”; auspica una tecnologia conviviale e ci ricorda come, secondo l’azzeccata definizione dell’informatico olandese Dijkstra, “Dire che una macchina sappia pensare è come dire che un sottomarino sappia nuotare”. A questo proposito, Patrignani riformula anche una personale definizione dell’intelligenza artificiale chiamandola “macchina che calibra tanti dati”, strumento in grado di operare idealmente in una rete distribuita invece che gerarchica.
Caro Clint, mentre il professore parla, continuo a sentire la musica del tuo film. E’ così bella…, una musica che fuga le ombre incombenti ed esorcizza l’arrivo del peggio e, mentre penso agli uffici senza finestre di Amazon, adesso vedo anche spuntare, sulla veranda esterna, Meryl Streep a piedi nudi. Meryl è lì che ti saluta con il groppo in gola mentre ti allontani, perché né tu né lei vorreste dirvi addio.
No…, l’immaginazione non è morta, perché tra di voi c’è una forza che circola, che sa di mistero e di immortalità e che le macchine non sapranno mai provare.
Al cinema, la tecnologia ha dato tantissimo ma adesso rischia di far scomparire molti artefici di questa grande arte delle immagini in movimento. La macchina, che calibra grandi dati, potrebbe anche creare attori finti che recitano senza errori, può già creare storie plausibili in un ufficio senza finestre. Ma intanto io so che tu, a 94 anni, stai finendo di girare il tuo ultimo film, ennesimo tassello della tua straordinaria carriera. Adesso, dando corda alle possibilità dell’umano più che a quelle della tecnologia, vorrei stringerti la mano. La sento viva e capace, come quella degli artisti che possono servirsi della tecnologia ma non ne diventano ostaggi. Le macchine ragionano e calcolano, gli uomini e gli artisti sentono e amano.
Grazie Clint e grazie professor Patrignani, entrambi ancora avvezzi, per fortuna, all’etica delle emozioni.
Pierangelo Scala