Frecce tricolori e la bambina che non c’è più.
Le frecce tricolori solcano l’azzurro del cielo in formazione compatta, aerei, caccia dell’aviazione italiana che lasciano nell’aria cortine fumogene di tre colori, una bandiera che sventola più in alto che mai, aerei che piroettano, si impennano, che puntano in picchiate da brividi, che disegnano coreografie alate. Lassù, ai comandi, ci sono piloti esperti, giovani brillanti e di talento, i maratoneti dell’aria, quelli che le ore di volo, sulle spalle, le contano a migliaia, quelli che i jet li fanno giocare nel cielo, che li rendono docili, come creature di metallo servizievoli e ammaestrate. Poi, succede l’imprevisto, il destino che devia la rotta, l’incidente che non ti saresti aspettato, quello che, nel bene e nel male ti cambia la vita o te la ruba per sempre. E’ un sabato pomeriggio di settembre, quello delle prove prima della grande esibizione prevista per l’indomani, giorno in cui le frecce argentate daranno sfoggio di quello che molti definiscono un simbolo dell’orgoglio e della tecnologia italiana. Le pattuglie acrobatiche, i piloti che agguantano la cloche come artisti del vento, come saltimbanchi del vuoto, gli addestrati professionisti delle altezze sono all’opera. Per scongiurare ogni pericolo, di questa pratica smaccatamente esibizionistica ma non solo, il cielo sovrastante l’aereoporto di Caselle è stato, a detta degli addetti, scrupolosamente “bonificato”. Gli addetti si esprimono proprio così, con il termine “bonificato”, che allude allo sterminio degli uccelli di passaggio, gli stormi che, abitando il cielo come loro dimora naturale e abituale, ne usurpano lo spazio mettendo a rischio le circonvoluzioni dei jet. Ma il caso, che forse proprio caso non è, ci mette lo zampino e l’aereo, il Pony 4, uno della formazione tricolore, si stacca dagli altri e perde improvvisamente quota, come una freccia fuori bersaglio e fuori controllo. Il pilota, dopo aver tentato di dirigere il suo Pony, il più lontano possibile dal centro abitato, sgancia il seggiolino paracadute e si salva dallo schianto. Il jet, come un immenso proiettile, perfora il suolo, lo scava in un’onda di rumore apocalittico e in un’orgia di fuoco. Nei paraggi, un’auto procede in direzione di casa quando è investita dall’onda d’urto che la travolge e ribalta. A bordo, una famigliola composta da padre, madre, che si salvano insieme al loro figlio dodicenne, mentre soccombe, prigioniera del suo seggiolino e del fuoco, l’altra loro figlia di cinque anni. Inutili i disperati tentativi di strapparla alle fiamme da parte di tutti e soprattutto da parte del padre. Il perfetto, incredibile, sincronismo di una tragedia si compie ineluttabile. Il tempo dell’impatto congela gli istanti in un punto di incontro che diventerà eterno per questa famiglia e per il pilota. Da questo momento, il loro destino si unisce e congela in un unicum indissolubile che cambierà per sempre le loro fisionomie di vita. Da una parte un padre inconsolabile che non potrà mai rassegnarsi all’idea di non essere riuscito a salvare la figlia, dall’altro un pilota che non potrà mai più separare la visione del volo da quella del volto di questa bambina. Il pilota entrerà per sempre nella storia di questa famiglia e viceversa. A volte, come in questo caso, la differenza tra la vita e la morte si misura in barlumi di secondo. Sarebbe bastato un attimo prima o un attimo dopo, ritardare o anticipare un passaggio, compiere un infinitesimale scarto a destra o sinistra e tutto, forse, sarebbe andato diversamente. In queste situazioni ci si appella alla fatalità crudele del destino, alla dittatura del caso che bizzarramente pilota e orienta la nostra sorte.
In altri fatti invece il destino sembra avere un volto amico, non contempla la morte e la perdita, ma la grazia della salvezza e della riconoscenza. Il destino, sempre ammesso e non concesso che sia lui il vero protagonista, stringe in un abbraccio di felicità eterna persone che non si sono mai conosciute. E’ successo sempre a Torino (sono fatti recenti) quando un uomo è passato sotto un balcone proprio nel momento in cui un bambina cadeva dallo stesso. L’uomo d’istinto ha afferrato la piccola, ne ha attutito la caduta, l’ha sottratta a una morte certa. Lui è quella bambina diventeranno come padre e figlia o come fratello e sorella e anche qui uno scampolo, una virgola, una frazione di tempo hanno fatto la differenza. C’è un destino del bene e uno del dolore, secondo l’inafferrabile regola dell’esistenza che oscilla tra la dualità degli opposti.
Tornando al jet precipitato, le indagini in corso dovranno appurare le cause della tragedia, ne esploreranno le particolarità dei dettagli . Le ipotesi preliminari, come già accennato, chiamerebbero in causa il “bird strike”, come recita il vezzo anglofono di chi, suggerendoci la terminologia inglese, se ne infischia se dimentichiamo o non coltiviamo quella italiana. I poveri uccelli sarebbero entrati tra le alette della turbina del o dei motori spedendoli in avaria. Ma potrebbero esserci altre cause quali guasti meccanici o altro.
Accanimento del destino è il termine a cui più si è ricorsi nel racconto di questa tragedia che, spesso, derubrichiamo al termine di dramma. No, il jet precipitato non costituisce un dramma, ma la disgrazia di una tragedia come succede quando a rimetterci è la vita umana. Per il resto, il cosiddetto destino mi appare anche come un appuntamento prefissato a cui, volenti o nolenti, non ci si può sottrarre.
Molti dicono che le acrobazie nei cieli andrebbero evitate, che lo show non deve andare avanti se comporta rischi di questo tipo. Personalmente, non mi sembra nemmeno un grande spettacolo. Aerei fracassoni e inquinanti, da guardare a collo piegato, non mi attraggono. Sotto la tenda di cielo in cui si pavoneggiano, io non ci andrei intenzionalmente. Leggo invece che a queste manifestazioni partecipino anche centomila persone, sguardi estatici per aria e dita affondate a tappare le orecchie. Qualcuno potrebbe anche agire politicamente e, in funzione dell’accaduto, abolire queste follie acrobatiche, ma altre analoghe rispunterebbero sotto mentite spoglie. E poi, non dimentichiamoci, che centomila persone, sotto le frecce tricolori, rappresentano un indotto non indifferente per il mercato della domenica, tra bibite, panini, gadget e gite fuori porta, mercato che, solo per generale ipocrisia, non si vuole riconoscere come prevalente sul valore della vita. ,
Le cose cambieranno quando, invece di centomila spettatori delle frecce, una persona sola scenderà dall’auto, durante una scampagnata domenicale, e si godrà il volo di uno stormo di uccelli. E come lei farà un altro e poi un altro ancora in un crescendo di coscienza rivolto alla contemplazione del bello, il cielo come risorsa in sé, specchio della vita della natura e non solo come palestra insicura della tecnologia.
Pierangelo Scala