La musica sta indubbiamente cambiando. Com’è sempre accaduto e come sempre accadrà. Come per le persone e per tutte le cose. Come quando il taglio netto, definito e sadico, ha contrapposto la schiera di tradizionalisti ascoltatori di concerti d’organo e musica Classica, ai progressisti sostenitori del giovanissimo padre del rock n roll Elvis Presley (definito da Springsteen come colui che ci ha liberato il corpo).
Sembra che, di generazione in generazione, la soglia d’attenzione riposta all’ascolto di musica tenda a diminuire, creando terreno fertile per canzoni “meno impegnative”.
E così è anche per il denaro che destiniamo ad essa. Basti pensare che si è passati dall’acquisto del vinile, a quello della musicassetta, a quello dei compact disc, fino al portale digitale che consente di avere una propria libreria personale di infinite canzoni, a titolo completamente gratuito. Basti pensare che un regalo di comunione, compleanno, cresima, in auge fosse una chitarra ed ora è, e dev’essere ASSOLUTAMENTE, un telefonino. Spiazzante, eh?
Forse gli unici che riescono un po’ a resistere, sono i concerti dal vivo; questo, probabilmente, perché l’esperienza di stare a pochi metri dal proprio idolo è una distanza che neanche uno strumento tecnologico può colmare. Senza dover precisare che una volta iniziato lo spettacolo, ci si ritrovi come babbei a filmarlo tutto il tempo.
Peccato solo che i concerti dei poveri cristi, lungi dalla ribalta, siano sempre vuoti o ancor peggio neanche organizzati. I locali che si spingono a fare musica dal vivo si diradano, stringono le tasche e considerano antiproducente far scorrazzare di tanto in tanto qualche musicista avvinazzato nel proprio pub. Le associazioni comunali, in posizione eretta sulla tavola da surf, cavalcano la scusa della crisi, e destinano i fondi a organizzazioni futili e scadenti, un magna-magna tra amici e parenti, dimenticando che la musica è cultura, e come tale è di FONDAMENTALE IMPORTANZA nella vita comunitaria.
E che gli artisti siano sempre più poveri non è un problema, è sempre stato così; non fosse così non nascerebbero gli artisti. Ciò che manca è lo stimolo; l’artista non ha più idea con chi poter condividere il proprio messaggio e, soprattutto, COME. Neanche più i mecenati esistono (in tempi recenti definiti come produttori). Ed ecco che nasce la musica INDIPENDENTE: Indie!
Nelle proprie camerette, sulla propria sedia girevole, molleggiata di Ikea, davanti al PC, attrezzati di scheda audio e microfono a condensatore da 49,99 $, prende forma la musica che sta spopolando adesso, in questo momento. Nelle nostre radio.
Ce ne sono a bizzeffe. Tutti ormai sono indie. Qualsiasi cosa ora è indie. La musica è indie. Le persone sono indie. Gli stati d’animo sono indie. Indie sono i cereali che compriamo al supermercato e le melanzane che compriamo dal verduriere. Indie è un termine che vuol dire, forse, tutto e, forse, niente. Però ci piace. Suona bene.
E c’è un ramo che incuriosisce abbastanza, soprattutto focalizzandosi sulla musica nostrana; ovvero quei cantanti o gruppi che miscelano suoni elettronici a testi a metà pop e a metà (perdonatemi per ciò che dirò) cantautorali. E giuro che ci ho passato notti insonni per cercare di capirlo, questo indie, e può darsi ch’io lo stia capendo ed apprezzando.
L’indie è ciò che siamo ora, perché siamo sempre più indipendenti. O forse soli. Ma vabbè. Pareva brutto definirla “Musica per Soli”.
L’indie è il perfetto bigliettino da visita per farsi dire sì da tutti. Da un direttore artistico: “Che genere fai?” “INDIE” “Ok. Quello che cercavo per il mio locale”. Dalla ragazza che hai sempre sognato: “Aspetta, prima di baciarmi… Che genere fai?” “INDIE” “Ok. Baciamoci”. Dal professore di fisica “Che genere fai?” “INDIE” “Ok. Eccoti un bel 9+”
L’indie ha così tanti artisti e così pochi che non voglio spingermi a prenderne d’esempio nessuno, avrei paura di sbagliare e di definire indie un cantante o un gruppo che non sia indie. E s’incazzano gli indie che non sono indie.
L’indie, dovessi definirlo, è quel genere musicale che subito ti fa cacare poi inizia a piacerti. Un po’ come i salatini all’acciuga o i cubetti di feta.
Sono nella mia cameretta, sulla mia comoda sedia girevole, molleggiata di Ikea, davanti al PC. Sento il sapore di salatino all’acciuga e un po’ anche di cubetti di feta. E a rileggerlo questo articolo mi dà il voltastomaco. Tra qualche ora o domani mi piacerà.
Siamo tutti un po’ indie. Persino ciò che scriviamo.
Riccardo Bonsanto