Il secondo incontro della Palestra Politica: i sistemi elettorali, il voto, la Prima Repubblica, il problema della rappresentanza e la “governabilità”
A che cosa serve votare? Ce lo chiediamo spesso quando si avvicina un appuntamento elettorale, sempre incerti se la nostra croce abbia la forza di cambiare lo stato presente delle cose. Il professor Francesco Pallante, professore di Diritto Costituzionale dell’Università di Torino, ha provato a fugare alcuni dubbi e alcune incertezze sul significato del voto giovedì 20 aprile allo Zac! d’Ivrea, in occasione del secondo appuntamento della Palestra Politica.
Il voto, per cominciare, viene “vissuto” in maniera differente a seconda del tipo di votazione in atto: alle ultime elezioni politiche per scegliere un partito (le regionali del 2015) l’affluenza registrata era stata molto bassa (52%), mentre al referendum costituzionale del 4 dicembre era riuscita a sfiorare il 66%. Gli elettori percepiscono l’importanza di una votazione in maniera differente e c’è chi sostiene che buona parte dell’astensione sia oggi dovuta alla disaffezione verso i partiti. «È difficile da dire con certezza, ma un tempo la percentuale di voto era molto alta, mentre oggi nelle democrazie mature vota, in media, il 50% degli aventi diritto» spiega Pallante.
Che la causa dell’astensionismo sia da imputare solo ai partiti è probabilmente una risposta insufficiente, ma certo è che «i partiti hanno una forte responsabilità in tutto questo, perché non riescono più a stimolare e intercettare a sufficienza i bisogni dei cittadini».
I partiti (o sarebbe più corretto dire le “forze politiche”) hanno un ruolo significativo nel portare le persone a votare, ma questo genere di rapporto va sempre coniugato con il sistema elettorale nel quale si decide di esprimere una posizione ed è a questo punto che la serata è entrata nel cuore del ragionamento.
La domanda di uno dei ragazzi del GEC (Gruppo di Educazione alla Cittadinanza) ha centrato uno dei temi più caldi e importanti d’attualità: «Qual è, secondo lei, il sistema elettorale migliore?».
Il professor Pallante ha saputo rispondere egregiamente al quesito. Dopo una breve, ma efficace spiegazione della differenza che intercorre tra sistemi maggioritari e sistemi proporzionali il suo sguardo si è rivolto al passato, più precisamente ad un pezzo della storia d’Italia. «Oggi si discute tanto di rappresentanza e di governabilità, ma lo si fa come se i due concetti fossero tra di loro in contrapposizione e l’uno escluda per forza di cose l’altro. Eppure, se guardiamo alla storia recente d’Italia ci rendiamo conto che il momento migliore di crescita sociale e di riforme politiche si è avuto durante il periodo di massima rappresentabilità, all’insegna di un sistema proporzionale». Il referendum del 4 dicembre ha visto buona parte del dibattito pubblico discutere sull’idea della “governabilità” e della stabilità dell’esecutivo; i difensori di quest’idea (come anche i suoi oppositori) hanno centrato buona parte del ragionamento sui pro e contro della stabilità di governo, trascurando ampiamente il fatto che negli anni Sessanta e Settanta aver avuto un’ampia rappresentanza sociale in Parlamento abbia garantito il susseguirsi di riforme importanti. Secondo Pallante non esiste un sistema elettorale migliore, ma il sistema dipende ampiamente dalla situazione politica che ci si trova di fronte. «Con il referendum Segni l’Italia, negli anni Novanta, passò dal sistema proporzionale al maggioritario. Lo slogan di quel referendum era: “finalmente supereremo le divisioni politiche e ci saranno solo due partiti”. Come abbiamo potuto illuderci di questo? Come abbiamo potuto pensare che la realtà politica si sarebbe piegata al cambiamento di una legge? Se ci pensate è accaduto esattamente il contrario: nella Prima Repubblica i partiti erano una decina, mentre durante le consultazioni per il governo Monti furono 40». Quest’autocritica mette in luce un punto, sottolineato più volte dal professore durante la serata: non ci si può illudere che cambiare le regole significhi cambiare la realtà, perché solitamente è la realtà che piega le regole alle necessità del momento, così com’è accaduto con l’introduzione del sistema maggioritario: «Il maggioritario non ha ridotto le divisioni. È il sistema politico che detta le leggi, non il contrario».
Pallante non ha cercato di convincerci della necessità del proporzionale sul maggioritario, per quanto le sue parole soffiassero in quella direzione; ha cercato bensì di tirare le somme di una stagione italiana feconda che fu in grado, con tutte le sue difficoltà, di trasmettere un insegnamento al quale sarebbe necessario prestare attenzione. Pallante ha cercato di esprimerlo in questi termini: «Nel 1962 c’era il problema di portare l’energia elettrica in tutta l’Italia. I privati non volevano, perché non c’era l’interesse economico di fare questo. Lo Stato (e i partiti politici) decisero di nazionalizzare le industrie e creare un ente: l’Enel. Lo Stato decise di espropriare una ricchezza per redistribuirla a tutti. Trasformare la società vuol dire strappare interessi consolidati e redistribuirli. Ciò provoca tensioni, talvolta un “tintinnare di sciabole”, ma è necessario. Se ci pensate su quelle tensioni e su quel sistema proporzionale c’era ampia governabilità. C’era molta rappresentanza, c’era molta discussione e vennero prese molte decisioni. Oggi c’è poca rappresentanza e poca capacità di decidere. Ci sono giganti in Parlamento, ma con piedi d’argilla perché hanno scarso consenso sociale. Oggi abbiamo un estremo bisogno di ricucire, di dialogare e questo porta a dire che il sistema migliore, attualmente, è il proporzionale».
A cosa serve votare era stata la domanda di partenza e com’era prevedibile si è finiti con il parlare d’attualità. Non sono mancate le domande sul voto online (difeso dai 5stelle), né tanto meno quelle su quale potrà essere la futura legge elettorale per la Camera e il Senato (attualmente ci sono 30 disegni di legge depositati in Parlamento), ma si sa come vanno a finire questi incontri: ci si arma delle migliori intenzioni per restare lontani dalla tanto temuta politica quotidiana; per fortuna, come già diceva Aristotele, siamo animali politici e anche ad Ivrea c’è ancora chi ha voglia di confrontarsi pubblicamente su temi che interessano tutti.
Un’ultima considerazione. Andrea Gaudino, durante la serata, ha constatato che «non sono più i partiti a promuovere le discussioni pubbliche». Purtroppo non partecipano nemmeno a quelle organizzate da altri, in quanto solo il consigliere Comotto di ViviamoIvrea e Riccardo Agrippino di Rifondazione Comunista erano presenti.
A cosa serve votare? Ce lo dicano loro.
Andrea Bertolino