Ne parliamo con Armando Michelizza, dell’Osservatorio Migranti d’Ivrea
Il decreto Minniti-Orlando, approvato alla Camera il 12 aprile e successivamente blindato con la mozione di fiducia del governo Gentiloni, ha scatenato ondate di critica in tutto il Paese. Al centro dell’attenzione pubblica sono stati tre dei punti principali riguardanti il decreto che regola la gestione dei migranti: l’abolizione dell’udienza, la soppressione del secondo grado di giudizio per gli utenti che abbiano fatto ricorso e il rafforzamento della rete di centri di detenzione per migranti irregolari.
Si tratta, secondo i detrattori del decreto, di misure che priveranno una fetta di esseri umani di quelli che dovrebbero essere dei diritti fondamentali.
Ma da dove sono scaturite misure così repressive?
Secondo Armando Michelizza dell’Osservatorio Migranti di Ivrea, il decreto nasce dal tipo di prospettiva sull’immigrazione che la politica odierna ha deciso di adottare.
«Affidare la questione migratoria al Ministero dell’Interno significa considerarla in primis come un problema di sicurezza nazionale» afferma Michelizza. A suo parere, è innanzi tutto il presupposto che il fenomeno migratorio rappresenti un rischio per la legalità ad influenzare le attuali attività legislative in materia.
Gli spauracchi di terrorismo e criminalità hanno certamente contruibuito a questo tipo di visione. Fondamentale, però, è stata soprattutto l’idea della cosiddetta “invasione di migranti”, che vedrebbe l’Italia travolta da una marea umana inarrestabile. Si tratta di una retorica molto presente nelle rappresentazioni mediatiche e all’interno dello stesso dialogo politico. «Un punto di vista» fa notare Michelizza, «che distorce una realtà numericamente non così allarmante».
Come l’Osservatorio Migranti sostiene da tempo, una chiave di lettura più efficace e centrata sarebbe inquadrare l’attuale flusso migratorio dal punto di vista dello sviluppo, anche economico, del paese. Andare oltre lo spauracchio dei potenziali criminali e terroristi permetterebbe di vedere in questi gruppi di persone qualcosa di molto diverso: un capitale umano.
Migranti come risorsa, quindi, invece che peso o pericolo. Non solo per l’economia del paese, ma anche per la società nel suo insieme. L’Italia, col suo primato di paese più vecchio d’Europa, può veramente permettersi di voltare le spalle a questo flusso di giovani in cerca di un futuro?
Perché, invece, non investire in questo capitale umano, offrendo la possibilità di un percorso educativo e formativo che possa renderli elementi produttivi della società?
La proposta dell’Osservatorio Migranti, in tal senso, è una sorta di anti-Minniti-Orlando: la concessione generalizzata di un permesso di soggiorno di due anni all’arrivo in Italia, durante i quali vigano obblighi di frequenza di corsi di lingua italiana e formazione professionale, nonché la possibilità di partecipare ad attività su progetti organizzati dai comuni ospitanti che riguardino temi come la tutela ambientale e la valorizzazione del territorio. L’obiettivo sarebbe di favorire una formazione alla cittadinanza attiva e responsabile.
Michelizza sottolinea anche come un’accoglienza improntata sull’educazione dell’individuo anziché sulla sicurezza nazionale non porterebbe soltanto arricchimento al Paese d’arrivo, ma anche al Paese di provenienza: «Far crescere questo potenziale umano è aiutare il doloroso fenomeno delle migrazioni e sostenere lo sviluppo dei paesi da cui i migranti provengono».
Le migrazioni sono infatti fra i più forti elementi di rimozione degli squilibri mondiali. È stato più volte registrato che il denaro che un lavoratore immigrato spedisce nel paese d’origine viene quasi sempre investito in bisogni primari o educazione, soprattutto se si tratta di un paese particolarmente lacunoso in queste aree. In tal senso, accogliere i migranti in Italia significa davvero “aiutarli a casa loro”.
La politica che ha generato la Minniti-Orlando non si pone nessuno di questi problemi, aprendo tuttavia, bisogna sottolinearlo, uno spiraglio sulla questione dell’offerta formativa. Un altro punto del decreto è infatti l’introduzione del lavoro volontario per migranti.
È un passo in avanti, secondo Michelizza, non solo perché si tratta dell’offrire un ruolo attivo a delle persone spesso congelate in un vacuum giuridico che impedisce loro di muoversi in qualsiasi direzione, ma anche perché rappresenta un’importantissima opportunità di integrazione.
Il territorio eporediese e dintorni non sono estranei a questo tipo di esperienza. Già nel 2011 i membri dell’Osservatorio avevano avviato dei progetti assimilabili al lavoro volontario, coinvolgendo il gruppo di migranti che alloggiavano al Ritz di Banchette. Con la nuova legge, Michelizza auspica che questo tipo di progetti diventi la norma e che se ne possa sfruttare appieno la potenzialità.
Essenziale in questo senso sarà il ruolo appena assunto dai consorzi InRete e CISS-AC, che si occupano rispettivamente di 51 comuni nell’eporediese e 20 comuni nel calusiese, come nuovi organi di gestione dell’accoglienza di richiedenti asilo. I bandi erogati dai consorzi potrebbero aprire la strada a una ricostruzione del servizio che porti ad un salto di qualità che sia veramente tangibile; ad esempio, con un’organizzazione capillare sul territorio e non polarizzata, con un’accoglienza che non si fermi ai bisogni immediati, ma si espande alla conoscenza del territorio e dei suoi servizi e soprattutto con un’offerta formativa adeguata.
Elisa Alossa