Aldo Sottofattori ha presentato il suo saggio, mercoledì 15 alla Galleria del libro
Aldo Sottofattori, genovese di nascita ed eporediese di adozione, non ama il termine “uomo” scorgendo nello stesso il deformarsi di quella aspirazione primaria della natura umana che dovrebbe tendere al giusto, al bello e al rispetto della natura. Preferisce dunque parlare di umanità, intesa nel suo potenziale evolutivo in grado di perseguire il progresso nella sua accezione più ampia e non solo come forma di dissennato sviluppo economico.
Passando per le vie dell’analisi politica e sociale, esaminando i temi che più caratterizzano e affliggono la nostra contemporaneità, spostando lo sguardo all’esterno della più comune ortodossia di pensiero, Aldo ci mette di fronte agli effetti devastanti dell’impatto antropico sul nostro pianeta.
Questo saggio ha innanzitutto il merito di presentare, in una sintesi riuscita, problemi di estrema gravità e forse ormai irreversibili, dal cui esito dipende la sopravvivenza della nostra specie.
Si tratta di una settantina di pagine scritte con il dono della chiarezza del linguaggio, capace di creare un approdo di coscienza anche per i più riluttanti. E’ scritto per i bambini, che forse non avranno un domani, ma anche per i loro genitori, nella speranza che non girino la testa dall’altra parte di fronte alla desolante smorfia della realtà.
A questo proposito, durante la serata di presentazione, è stato ricordato come l’ottimismo, spesso, non sia altro che l’argomento di chi non è informato. Certamente questo non è un saggio ottimista ma, al contrario, un perentorio, allarmante e incisivo testo sulle conseguenze dei nostri comportamenti più deleteri e diffusi, imputabili non solo alle persone comuni ma anche a certe élites refrattarie nel mettere in campo utili contromisure, sia perché di natura impopolare sia perché contrarie agli interessi dominanti. Un atteggiamento tipico, questo, di molti scienziati, tecnocrati, finti ambientalisti e decisori politici.
Il testo conferma l’andazzo paradossale di una tendenza inversamente proporzionale, come se, alla perversa escalation dei problemi, corrispondesse una diminuzione di attenzione verso gli stessi. Nel libro si esamina anche questo aspetto negazionista, in cui confluiscono reazioni di riduzione e derubricazione del dramma, generalmente appellabili come processi di rimozione collettiva. Il saggio parte dalle considerazioni sul clima con un capitolo iniziale il cui titolo: “Dare fuoco alla propria casa” non si presta ad edulcorazioni di comodo o a dubbi di sorta.
Il pianeta, che va allo sfascio, è il posto dove poggiamo i piedi, la nostra terra oggi sempre più stravolta dai mutamenti climatici. L’aumento della Co2 nella biosfera produce una crescita della temperatura che destabilizza sempre di più il clima, la cui relativa stabilità, invece, non solo è raccomandabile ma indispensabile per la nostra sopravvivenza. Inoltre, tali mutamenti determinano spostamenti di popolazioni, aree desertiche, ferite e colpi mortali inferti alla biodiversità degli habitat sia terrestri che marini. Aldo è anche convinto che l’origine dei nostri problemi sia riconducibile, non solo al senso di onnipotenza dei Sapiens, ma anche al presunto suprematismo della loro razza nei confronti di quella animale, mondo di cui, a torto, essi non ritengono di fare parte.
Nel paragrafo dedicato allo “specismo”, invece, Aldo ci ricorda che esistono in natura tre regni, distinti in regno animale, regno vegetale e regno minerale. Sebbene i biologi possano classificare i regni in modo leggermente diverso, nessuno di essi dubita che l’essere umano appartenga al regno animale. Il libro illustra anche molto bene quella che l’autore definisce “la speranza disperata” nella tecnologia, il cui sviluppo accelerato ha creato l’illusione di poter sopperire, come una panacea universale, a ogni tipo di male o problema.
La questione è senz’altro più articolata e presuppone una serie di domande razionali che interpellano anche la relazione tra tecnologia e natura, domanda, quest’ultima, che risulta costantemente inevasa. Inoltre occorre dire che il fattore tecnologico è sempre subordinato alle intenzioni e alla visione dei soggetti individuali e collettivi. Questi, nel nostro modello sociale, sono prevalentemente asserviti alle logiche del profitto e quindi inabili alla soddisfazione e alla tutela del bene comune. Insomma, il fattore umano è sempre considerato determinante nel libro e la mia sensazione è che uno dei motivi per cui andiamo alla deriva, incontro all’inferno dello sviluppo insostenibile, stia proprio nella paura di affrontare la morte del proprio cambiamento. Il libro di Sottofattori, comunque, pur nel dichiarato pessimismo, non è un libro a cui si possono attribuire facili allarmismi o scontate denunce, perché descrive oggettivamente una prospettiva che è sotto gli occhi di tutti e che non possiamo più sottovalutare.
Inoltre propone anche, per coerenza di pensiero, alcune soluzioni logiche e ineccepibili di buona volontà che purtroppo non troveranno attenzione nel complesso affollato delle orecchie distratte, votate a tessere il filo della censura e a bollare lampanti verità come utopiche fantasie. Aldo, allo stato dell’arte, perso per perso, auspica almeno il congelamento e non il peggioramento del danno già commesso.
Ottime, nel libro, sono anche le citazioni e i rimandi cinematografici che anticipano il declino evidente in cui siamo sprofondati. Uno per tutti l’accenno al film di Stanley Kramer, L’ultima spiaggia, dove i superstiti di una guerra nucleare brancolano negli scampoli finali di una sopravvivenza ormai segnata. E’ un film dal sapore insopportabile perché sovraccarico di quell’angoscia che deriva dall’impossibilità di porre rimedio agli errori commessi. Il film sembra il ritratto del nostro presente a cui questo saggio cerca di dare voce nell’idea di formare sempre più consapevolezza.
E’ un saggio di sintesi, come detto, che però non penalizza la profondità dei contenuti, un saggio diretto a creare nuovi livelli di sensibilità e a non distogliere lo sguardo di fronte all’incombere sinistro del nostro prossimo futuro. E’ un avvertimento da ultima spiaggia, appunto, nell’idea che il mondo intero, scosso nel suo persistente cicaleggio, non precipiti ignaro, come è stato per il Titanic, nell’oscurità dell’abisso.
Pierangelo Scala