Torino, sede RAI, guardia di sicurezza estrae la pistola contro attivista di Extinction Rebellion. Nella città-laboratorio della repressione ennesimo episodio spia del clima di tensione crescente
È la mattina di venerdì 17 febbraio quando 5 attivisti del movimento ecologista nonviolento Extintion Rebellion, entrano nella sede RAI di via Cavalli a Torino. Si tratta di un’azione di protesta coordinata: nello stesso momento altri gruppi stanno entrando nelle sedi di Repubblica e Stampa in via Lugaro. L’obiettivo è occupare un piccolo spazio all’interno, sedersi ed esporre dei cartelli diretti ai giornalisti, chiedendo un’informazione più attenta e puntuale sull’emergenza climatica.
In via Cavalli però qualcosa non va come previsto, una guardia di sicurezza butta a terra un attivista minacciandolo con una pistola. Gli altri dimostranti iniziano allora a riprendere la scena e la situazione fortunatamente si tranquillizza. Come verrà sottolineato dagli stessi attivisti (che infatti non denunceranno la guardia coinvolta): «Negli ultimi mesi, molte delle contestazioni politiche di questo paese sono state raccontate come violente o volte a destabilizzare l’ordine costituito. Quello che è successo oggi, anche se totalmente ingiustificabile, è quindi il sintomo di un clima di allarme e di innalzamento consapevole del conflitto sociale».
Torino del resto non ci è mai andata leggera con il movimento ecologista: prima la notifica di 22 denunce e 5 fogli di via, poi saliti a 15 nell’agosto dello stesso anno, per un’azione dimostrativa durante il Climate Social Camp nel luglio 2022. Di questi molti verranno poi revocati perché illegittimi, del resto si trattava di pochi attivisti incatenatisi al balcone del palazzo della Regione per qualche ora, ma la misura risulterà sufficiente a far perdere il lavoro a diversi di loro. Un altro episodio a dicembre, quando un’azione mai compiuta si è conclusa con 12 denunce per manifestazione non autorizzata e possesso di armi, queste ultime rappresentate da alcuni estintori pieni di vernice rossa da spruzzare sul grattacielo di Intesa San Paolo per protesta contro gli investimenti nei combustibili fossili.
L’uso sproporzionato dei mezzi repressivi non è una novità per il capoluogo piemontese, sempre in guerra con i centri sociali locali, i liceali in occupazione, le baby gang, il movimento No Tav, l’Askatasuna, gli anarchici o chiunque sia il nuovo nemico. Gli attivisti per il clima sono solo gli ultimi di una lunga serie. Poco importa che il movimento sia dichiaratamente e fattualmente non violento, l’approccio rimane lo stesso: reprimere la protesta e demonizzare il protestante. Del resto i confini entro i quali sia legittimo esprimere dissenso sono ben lontani dall’oggettività, sono linee che si tracciano tutti i giorni: quando si accusano gli anarchici di eversione e gli autonomi di associazione a delinquere, quando si definiscono squadristi degli adolescenti che occupano un liceo per pochi giorni, quando si equiparano i movimenti alle cosche mafiose e le proteste di piazza al terrorismo, quando si feticizzano le forze dell’ordine con la solidarietà acritica. Una narrazione che finisce con il gettare benzina sul fuoco del conflitto, radicalizzando la protesta e facendo terra bruciata intorno agli attivisti, trasformando la città in una pentola a pressione piena di polvere pirica.
Da questa prospettiva l’episodio di venerdì alla RAI diventa tutt’altro che strano, anzi si potrebbe dire che è andata pure troppo bene. La distanza che divide una tragedia solo sfiorata da una avvenuta è breve quanto lo scatto di un dito sul grilletto.
Lorenzo Zaccagnini