Il coraggio della ribellione
Ci sono documentari che sprigionano la forza del cinema e ci avvicinano all’essenza delle cose. Malala è una ragazzina che abita nello Swat, una valle del Pakistan in cui la bellezza di una natura verdeggiante si contrappone alla presenza oscura dei talebani. Costoro, nel 2012, quando lei ha appena 15 anni, le sparano tre colpi di pistola alla testa, ritenendola colpevole, fin da piccola, di amare la scuola e la cultura. Pur procurandole gravissime ferite, come una semi paralisi al lato sinistro del viso e la compromissione dell’udito, i colpi dei talebani non ne spengono la vita né fanno di lei una vittima rassegnata della loro follia. Malala, fedele al suo nome, che significa “coraggio”, reagisce con la volontà di riaffermare i diritti delle donne all’istruzione, non si chiude nelle paure, ma libera la sua voce e diventa un simbolo internazionale di giustizia e libertà. In questo modo finisce di vincere il Nobel per la pace nel 2014.
Il film di Guggenheim, ispirato al libro scritto dalla stessa Malala: ”Io sono Malala”, è la storia, in parte raccontata attraverso l’uso dei cartoni animati, di una voce contro la brutalità integralista, un atto eroico di ribellione contro chi usa il terrore come arma di persuasione. Malala sfugge dunque, per fortuna, al destino di diventare un’eroina “post mortem” e, attraverso le sue parole e le sue azioni, dà fiato alla speranza di un futuro di emancipazione femminile. Due sono le frasi topiche che Malala ci lascia. La prima recita: “Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo” e la seconda dice: “Racconto la mia storia non perchè è unica, ma perchè non lo è”. In entrambe si sente l’impeto di una forza che può farsi strada in noi e, ancora di più, erompe in chi, come Malala, è stato sfiorato dalla morte. Un documentario importante, quello di Guggenheim, che va ricordato per l’impegno sociale di questa giovane figura di donna e anche per tutti gli spunti di riflessione, extra filmici, che suscita sui temi specifici della politica e delle strumentalizzazione religiosa.
E’ vero, per una Malala che fa sentire la sua voce e attira l’attenzione dei media, ce ne sono tante altre che subiscono analoghe violenze lontano dai riflettori, e il film non fa accenno a costoro, come certa critica, invece, avrebbe voluto, ma è anche vero che chi spezza le catene della sottomissione illumina la strada per tutti.
A un certo punto, nel film, il padre di Malala, che l’accompagna nel giro di convegni in Occidente, dice che a sparare alla figlia non sono state delle persone ma un’ideologia, in questo senso allungando l’ombra di una contraddizione. Se l’ideologia, in assoluto, è più forte degli uomini, al punto di sostituirsi alle loro colpe, allora è come dire che i simboli sono più importanti degli uomini. Se i simboli diventano solo astrazioni senza carne, vita e ferite, allora è come ammettere che i simboli si possano distruggere come si cancella un segno e non una persona. Sparare a una divisa e non all’uomo che c’è dentro, si diceva in epoca di terrorismo nostrano! Se si assume questo principio allora io credo si possano ripetere errori fatali. Malala è molto di più di un simbolo eroico, è una donna che pensa, ed è grazie a questa facoltà che va lontano fino a diventare una bandiera.
Se il ciarpame ideologico diventa il responsabile del crimine allora vuol dire che è la religione a schiavizzare le donne e non gli uomini che la strumentalizzano e la conformano ai loro intenti fanatici. L’ideologia, per quanto potente, non può assurgere a potere assoluto. Dietro di essa ci sono gli uomini che operano, sempre pronti a farne un’arma sottile di dominio sul prossimo. Io credo che chi strumentalizza la religione, infatti, sia il primo a infischiarsene dei suoi onesti principi, così come credo che l’uomo veramente interessato ai fondamenti di verità, che ogni religione contiene, non possa condividere alcuna forma di ideologia integralista. Gli uomini e le donne sono sempre gli unici responsabili delle loro azioni perché, per quanto condizionabili o resi addirittura ciechi dall’ideologia, possono tuttavia maturare la forza della ribellione e con essa dare impulso e luce alla propria coscienza.
Comprendere qual è la direzione di marcia, verso la libertà, è possibile così come lo è stato per Malala e così come lo potrà essere per altri e altre sulla scia del suo esempio.
Pierangelo Scala