Un’intervista con la Consultoria Transfemminista FAM in merito alle recenti leggi regionali in materia di ivg (interruzione volontaria di gravidanza)
Martedì 26 aprile il consiglio regionale del Piemonte ha approvato il fondo “Vita nascente” voluto dall’assessore Maurizio Marrone, 400.000 euro che saranno gestiti dalle associazioni pro-vita e dai consultori destinati alle donne in difficoltà economica che decideranno comunque di portare a termine ugualmente la gravidanza. L’ossessione antiabortista dell’assessore non è una novità, questo fondo non è altro che l’ultimo attacco di una crociata iniziata due anni fa con il rifiuto delle linee guida nazionali sulla somministrazione della pillola Ru486 e l’entrata delle associazioni pro-vita nei consultori.
Tuttavia, contrariamente a quanto pensato dallo stesso Marrone, l’attivismo per la libertà di scelta ha continuato a mobilitarsi in questi anni, con presidi, manifestazioni e azioni dirette, dando vita a un movimento ben più ampio che oggi ha reso possibile la Consultoria Transfemminista FAM.
Come nasce FAM e cosa si propone di essere?
FAM nasce come risposta politica a seguito delle mobilitazioni contro i movimenti pro-vita e le politiche antiabortiste portate avanti dalla Regione. Nasce dalla collaborazione di varie realtà come Non Una Di Meno Torino, il collettivo SeiTrans? e la microclinica Fatih.
Vogliamo essere una risposta dal basso alle difficoltà di accesso alla salute non solo delle donne e delle persone trans, ma anche delle persone con disabilità, migranti o chiunque viva problematiche di questo tipo.
Il significato della sigla FAM non ha a che fare con la sua funzione, ma sono le iniziali di tre persone. Quali sono i motivi di questa scelta?
Sì, sono le iniziali di tre persone, due donne ed un uomo trans: Fiore, Anna e Marti. Due mort* a causa del tumore, mentre la terza è una delle pochissime donne decedute in seguito alle complicazioni di un aborto farmacologico con la pillola Ru486, proprio qui a Torino. Sul suo corpo si consumò una feroce propaganda, che pesa tutt’oggi sull’accesso all’Ivg farmacologica in Piemonte.
Tutt* e tre, in modi diversi, hanno sperimentato sui propri corpi il sessismo di un sistema sempre pronto a strumentalizzarci.
Ci è sembrata una scelta giusta, oltre che per ricordare, anche per indicare chiaramente i nostri obiettivi: un accesso alla salute più facile ed equo per tutti, anticlassista, antisessista e transinclusivo, rispettoso delle scelte e dei tempi delle persone, e una nuova educazione sessuale, basata sulla consapevolezza e sull’autodeterminazione del proprio corpo.
Un progetto del genere non prende vita per caso: da che punto di partenza ha avuto origine e in risposta a quali necessità?
Il primo passo sono state probabilmente le inchieste sulla salute delle donne e delle persone LGBTQ+ portate avanti da Non Una Di Meno e dal collettivo SeiTrans in questi anni. Grazie a queste indagini è stato possibile ad esempio accedere agli atti degli ospedali e conoscere il numero reale del personale sanitario obiettore di coscienza in Piemonte o la gravità delle liste d’attesa, ma il problema è molto più ampio.
C’è innanzitutto un problema di accesso alla salute per le donne e delle persone trans+: negli ultimi anni moltissimi consultori sono stati chiusi, accorpati o limitati nelle loro capacità e con la pandemia la situazione è precipitata. Ancora peggio per quanto riguarda i centri per il trattamento dell’endometriosi. Per queste ragioni chi può permetterselo si rivolge a un privato, creando così una disparità di classe fattuale nell’accesso alla salute.
Oltre a queste difficoltà c’è poi un problema di accoglienza: da sempre chi vuole effettuare un’Ivg si scontra con dinamiche sessiste e colpevolizzanti, che non possono che peggiorare con l’entrata delle associazioni antiabortiste nei consultori, ma queste dinamiche si rivedono anche in altri campi. Chi soffre di problemi come endometriosi, vulvodinia, neuropatia del pudendo e fibromialgia spesso si scontra con episodi di vero e proprio gaslighting medico e fatica anche solo a ricevere una diagnosi.
Le stesse difficoltà sono vissute dalle persone in procinto di compiere la transizione di genere: nell’unico centro ospedaliero pubblico che serve l’utenza trans e non binaria di Piemonte e Val d’Aosta l’attesa per il primo colloquio conoscitivo dura dai nove ai dodici mesi e in molti denunciano l’eccessiva psichiatrizzazione e una transizione irrispettosa dei tempi personali.
Il progetto è molto ambizioso e necessita sicuramente di personale sanitario qualificato. Avete già le forze per iniziare?
Sì, abbiamo già del personale sia medico che socio-sanitario, così come psicologi, in modo da poter essere da subito aperti al pubblico. Possiamo quindi iniziare ad effettuare i primi interventi, dar vita agli sportelli di ascolto e mutuo-aiuto tra pari e organizzare gruppi di lavoro su varie tematiche. Ovviamente tutto l’aiuto è ben accetto e necessario: cerchiamo personale volontario con conoscenze in ambito sanitario e psicologico e in generale chiunque voglia portare solidarietà ed attivarsi con noi.
Nonostante questo il nostro obiettivo non è sostituirci allo Stato, non ne abbiamo né i mezzi né il desiderio. La nostra è una sfida alla realtà attuale, un esempio del sistema sanitario che vorremmo e che promuoviamo in prima persona, oltre che un supporto per tutte le persone con difficoltà d’accesso alla salute. L’idea è quella di mescolare il più possibile i saperi medici ai saperi situati, che vengono dalla nostra esperienza del corpo, smettendo di trattare la salute come qualcosa di elitario, di cui può discutere solo chi ha una laurea in medicina.
La retorica anti-abortista dell’assessore Marrone spesso ribalta proposte lesive per l’accesso delle donne all’Ivg, pretendendo di farle passare per aiuti. Quanto è distante la sua narrazione dalla realtà?
Fin da quando ha iniziato la sua crociata anti-abortista l’assessore Marrone si è sempre giustificato con questo genere di retorica: due anni fa, in piena crisi pandemica, si è opposto alle linee nazionali che prevedevano la somministrazione della Ru486 nei consultori, accampando come scusa una presunta maggiore sicurezza sanitaria mentre aumentava la difficoltà di accesso all’aborto farmacologico. Ha fatto entrare le associazioni pro-vita nei consultori, a detta sua per offrire un’alternativa alle donne in difficoltà economica che avrebbero tenuto il bambino, mentre nel concreto apriva le porte a personale senza preparazione, con un atteggiamento colpevolizzante verso l’autodeterminazione delle donne e che spesso sparge vera e propria disinformazione a riguardo.
La decisione di stanziare 400.000 euro per “aiutare le donne in difficoltà economica che scelgono di non abortire” si inserisce perfettamente in questa dinamica: un ennesimo attacco all’autodeterminazione femminile mascherata da aiuto. L’assessore parla di 100 bambini in più in Piemonte che altrimenti non avrebbero la possibilità di nascere. Oltre alla palese ideologia popolazionista e all’accusa sottintesa per cui sarebbe la sola valutazione economica a spingere le donne ad interrompere la gravidanza, questo teorico aiuto risulta una presa in giro anche a livello puramente numerico: 400.000 per 100 bambini sono 4.000 euro a madre. Il costo medio per crescere un figlio in una famiglia a basso reddito si aggira intorno ai 113.000 euro, senza contare tutto il lavoro di cura svolto quasi sempre dalle donne a titolo gratuito.
La crociata antiabortista non sembra nemmeno trovare tutto questo appoggio: ovviamente l’opposizione ha protestato, ma anche i suoi stessi alleati sembrano sposare la causa perlomeno controvoglia. Secondo voi a cosa è dovuto questo accanimento ideologico?
Più che di una posizione ideologica le proposte dell’assessore sono un chiaro messaggio al suo elettorato di riferimento e un regalo alle associazioni anti-abortiste, con le quali mantiene un rapporto clientelare. In più il tema Ivg tende a fare notizia e queste proposte finiscono spesso col distrarre l’attenzione da ben altre questioni: due anni fa, quando andò a sostituire Roberto Rosso in consiglio regionale, l’assessore doveva far dimenticare l’arresto per voto di scambio con la ‘ndrangheta del suo predecessore. A Marrone non importa nulla delle donne, né della loro salute. Se così fosse si impegnerebbe a creare condizioni di maggiore sicurezza economica, a facilitare l’accesso a forme di welfare e a potenziare il sistema sanitario pubblico.
Solitamente l’opinione generale tende a essere dalla nostra parte, quando abbiamo subito attacchi fascisti, come quello dello scorso anno proprio davanti ai consultori, alle nostre iniziative c’è sempre stata una grande dimostrazione di solidarietà dal basso. Ma allo stesso tempo nelle sedi istituzionali la protesta ha più un obiettivo elettorale, nasce e muore nel giro di qualche giorno ed è spesso portata avanti dagli stessi partiti che hanno contribuito negli anni passati al deterioramento della sanità pubblica e alla chiusura del consultori.
Nonostante le battaglie, in tutto il mondo assistiamo a continui attacchi alla libertà di scelta delle donne, e dagli Stati Uniti alla Polonia si varano leggi sempre più stringenti
Pensi che l’attuale guerra in Ucraina e la relativa militarizzazione del discorso pubblico possano incidere negativamente sulle lotte?
L’attacco all’autodeterminazione delle donne non è certo una novità e va avanti da sempre ovunque. Noi cerchiamo di avere una prospettiva il più transnazionale possibile, abbiamo sostenuto le recenti proteste in Polonia e siamo particolarmente legati alle mobilitazioni in Argentina, dove è nato il movimento Non Una Di Meno.
Sinceramente non so quanto la situazione in Ucraina avrà o meno un effetto negativo su questa battaglia: è vero che in tempi di guerra rispuntano le peggiori spinte popolazioniste, ma l’autodeterminazione della donna è un campo di battaglia da sempre. Quasi ovunque nel mondo ci sono battaglie di questo tipo, a volte si guadagna terreno, a volte lo si perde.
È semplicemente questo il nostro obiettivo come FAM, riappropriarci del terreno che ci è stato tolto in questi anni, in termini di salute, conoscenza e autodeterminazione.
Lorenzo Zaccagnini