Intervento di Gabriella Colosso, membro del Direttivo Anpi Ivrea e Basso Canavese, a Lace
Festeggiare il 25 aprile significa celebrare il valore della resistenza italiana, la lotta partigiana e la conquista della libertà come ideale e come forma di governo democratico ma soprattutto la voglia di PACE e la guerra in Ucraina, attraverso le immagini terribili che ci arrivano, accende più che mai nel XXI secolo i riflettori sui valori indentitari della nostra Repubblica.
Il 25 aprile vede la luce l’Italia che ripudia la guerra e s’impegna attivamente per la pace, come ha detto il Presidente della Repubblica: “una data in cui il Popolo e la Forse Alleate liberarono la nostra Patria dal giogo imposto del nazifascismo. il 25 aprile ci ricorda un popolo in armi per affermare il proprio diritto alla pace, dopo la guerra voluta dal regime fascista”. Un’Italia che pone i suoi fondamenti nella dignità umana, nell’eguaglianza tra le persone, nella collaborazione tra i popoli, nella condanna al razzismo e alle discriminazioni.
Non era così nel ventennio fascista: no alla libertà di opinione, di pensiero, abolite le elezioni, banditi i giornali e i partiti di opposizione. Gli oppositori bastonati, incarcerati, costretti all’esilio, uccisi: si doveva soltanto credere. Ma, soprattutto, si doveva combattere, non per difendersi ma per aggredire! È delicato parlare di tutto questo nel momento storico che stiamo attraversando.
Il 25 Aprile ci chiama a questi temi, e inevitabilmente fa risuonare i dolorosi eventi che stanno accadendo in Ucraina, ma non solo: Afghanistan, Yemen, Mali e tanti altri luoghi di guerra e di resistenza. Siamo qui perché abbiamo il Dovere della “Memoria”, senza memoria non può esserci futuro. Sapere da dove veniamo è fondamentale per comprendere dove possiamo e dove vogliamo andare. Perché la democrazia, al pari della libertà non è mai conquistata una volta per tutte, o come disse Mordo Nahum (il greco) a Primo Levi, durante il loro ritorno da Auschwitz: la guerra è sempre, la guerra è mai e quindi non si può dare pace ma solo tregua.
Fare memoria vuol dire anche riscoprirsi parte di una stessa comunità. Quella comunità che tra il 1943 e il 1945 si ribellò presentandosi al mondo intero con una dignità e unità ritrovata, le forze partigiane antifasciste: Martin, Battisti, Ugo, Mak, Bandiera I, Dante, Luigi, Abbondanza, Giglio, Testarin, Basso, Sten, Frankenstein, Riccio e Pirata, loro per ricordarli tutti.
E le tante donne che contribuirono in maniera determinante alla manutenzione della vita di quell’intera comunità: “un’epopea civile di ragazzi scamiciati e povere donne scalze, che mentre i loro uomini combattevano in montagna contro tedeschi, combattevano in pianura contro la fame” così la definì Calamandrei in un discorso del ‘54.
70.000 donne parteciparono attivamente alla Resistenza e alla lotta partigiana, molte combatterono in montagna dimostrando abnegazione e coraggio, altre cospirarono, fiancheggiarono, fornirono supporto di ogni tipo ai ribelli nella più totale clandestinità, altre ancora tennero tenacemente in piedi famiglie divise, segnate da violenze e lutti. Donne che cercavano semplicemente un’esistenza più dignitosa in un Paese libero dall’autoritarismo nazifascista.
Parlando di donne come non ricordare la partigiana Elia Poglio, l’ultima testimone diretta della battaglia e della strage di Donato Lace del 29 gennaio 1945 o la staffetta partigiana Liliana Barbaglia. Le donne, nei periodi di guerra, sono state modelli di dignità, coraggio e resistenza, pronte a proteggere la Patria mentre i loro uomini erano impegnati al fronte. Lo hanno dimostrato nei momenti topici del Novecento: entrando nelle fabbriche vuote durante la Grande Guerra e partecipando alla resistenza contri i nazisti nella Seconda Guerra Mondiale.
Lo dimostrano oggi, affollandosi nelle piazze delle più grandi capitali europee a manifestare per un cessate il fuoco, a condannare questa guerra, in primis le russe. Lo dimostrano, ancor di più, i volti e storie di donne, nell’uno e nell’altro fronte, che combattono l’oltraggio definitivo della guerra a mani nude, solo con la forza dell’amore e della vita. Nelle guerre di aggressione nelle tante che leggiamo, le donne sono le prime vittime, la guerra ha il corpo delle donne come terreno di combattimento …tante, troppe bambine, donne e ragazze vittime di stupri, uccise dopo essere state violentate. Noi siamo convinte che dalle armi e dalla guerra nessuna donna, del mondo, può trarre alcun vantaggio; ne può derivare solo emarginazione, limitazione della libertà, annichilimento dei diritti, oltre alle distruzioni e alle sofferenze che in guerra toccano ogni essere umano.
Le nostre partigiane, le donne curde, le donne afghane, le donne ucraine simboli di forza e dignità, e allora ricordiamone alcune per ricordarle tutte: Yelena Osipova, 80 anni, sopravvissuta all’assedio di Leningrado da parte dei nazisti e arrestata dalla polizia russa mentre protestava per la pace in Ucraina a San Pietroburgo, Mena Mangal attivista x i diritti umani uccisa a soli 30 anni a Kabul e tante altre.
Donne coraggiose, brave combattenti ma escluse dalla rappresentanza, ieri come oggi. Soltanto una trentina delle fautrici della Resistenza italiana al nazifascismo fu decorata con medaglia d’oro o d’argento al valore militare, come vennero escluse dalle sfilate partigiane nelle città liberate, così oggi stride, anche in modo assordante, constatare che al tavolo delle trattative tra Ucraina e la Russia tutte le sedie sono riservate a esponenti maschili.
Come stride sapere che tanti, ancora oggi, non sanno che fra i membri che hanno dato vita alla Carta costituzionale c’erano diverse donne e fra queste 21 fecero parte della Costituente. I valori che orientarono le nostre Costituenti furono: il valore della persona, della pari dignità, della libertà, della giustizia sociale, della eguaglianza “di fatto” per garantire a tutti un livello di benessere economico, sociale e culturale. Libertà deve essere prima di tutto libertà dalla paura, dal bisogno, dalla miseria. La solidarietà come inderogabile dovere di ciascuna persona verso l’altro e inderogabile dovere della Repubblica e delle istituzioni per promuovere i diritti inviolabili della persona.
Le donne Costituenti ci hanno lasciato una delle Costituzioni più belle del mondo. Hanno saputo interpretare il diventare cittadine delle donne italiane ed i loro progetti di una vita nuova. Ci hanno lasciato una lezione vivente di bella politica: quella del bene comune, che costruisce alleanze, è coerente ai valori condivisi, costruisce un legame costante con la vita delle persone. Per questo esse possono e devono essere riconosciute come le Madri autorevoli della nostra Repubblica.
E allora come donne, come partigiane, come compagne, non abbiamo altra possibilità che continuare a fare ciò che abbiamo fatto finora: moltiplicare i nostri sforzi e fare del nostro sdegno una passione di tante e come dice Dacia Maraini, noi donne, dobbiamo “contagiare gli uomini nella prassi della pace” per capovolgere gli schemi che conducono alla guerra. Organizzarsi come donne è una delle forme più efficaci di resistenza e di impegno, è uno dei contributi migliori che le donne possano dare alla causa comune della pace, è l’antidoto certo alla cultura militarista, al pensiero unico, alla globalizzazione neoliberista che produce disuguaglianza, povertà e violenza.
Ma in questo 25 Aprile, a due mesi dall’attacco della Russia contro il popolo ucraino, vada la nostra più ferma condanna per questa aggressione, la nostra vicinanza e solidarietà al popolo ucraino aggredito militarmente, con milioni di profughi, migliaia di vittime che sta eroicamente difendendo il proprio Paese, la propria libertà, indipendenza e democrazia, Bruno Segre ieri da Torino, alla fiaccolata per il 25 Aprile, li ha chiamati “i partigiani, i partigiani sono in Ucraina”.
Come donne, partigiane gridiamo CESSATE IL FUOCO, non vogliamo più vedere altre “Polina” (la bimba con il ciuffo rosa che è stata falciata dalle bombe con i genitori e il fratellino), e auguriamo che dopo tanta distruzione, come per noi 77 anni fa, arrivi la PACE.
Concludo con le parole di Davide Sassoli, scritte un anno fa ma attualissime: “La Resistenza italiana è stato un fatto di popolo, che ha visto protagonisti giovani e anziani, uomini e donne. Voglio pensare che grazie a loro, così come grazie ai Maquis francesi o alla Rosa Bianca in Germania che la Resistenza è diventata europea. In loro nome l’Europa ha trovato la forza per diventare il luogo della pace e della solidarietà tra i popoli. Mai come ora dobbiamo riaffermare i valori dell’antifascismo perché nell’antifascismo c’è il seme della tolleranza, della solidarietà, del progresso per tutti e non per pochi. Oggi come ieri, ora e sempre Resistenza.”
Partigiane sempre, viva il 25 aprile!