L’intervento di Sonia Modenese, Anpi Valle Elvo, a Lace per il 25 aprile
Viviamo un 25 aprile con un significato ancora più forte che in passato, perché a 77 anni dalla liberazione abbiamo un tremendo bisogno di parole e di politiche che parlino di pace, di mediazione e di trattative.
Massima solidarietà all’ANPI nazionale che in questa furia bellicista esprime cautela e necessità di fermare la guerra, non di alimentarla. La guerra genera odio, costruisce il nemico, sospende il pensiero e diventa una divinità che esige sacrifici umani.
Nella guerra in atto alle porte dell’Europa sappiamo chi è l’aggredito e chi l’aggressore: tuttavia questo voler paragonare la resistenza Ucraina alla resistenza partigiana ci lascia attoniti e spaesati. La guerra in atto è l’epilogo di una situazione incendiaria che si trascina almeno dal 2014 ed è figlia di quel processo degenerativo che così prepotentemente si è disvelato in Europa con il crescere dei nazionalismi e anche in Italia questa metastasi sta provocando a una mutazione antropologica del vivere.
Parliamo della perdita di quelle idee per le quali questi giovani partigiani, che oggi siamo qui a celebrare, sono morti. Parliamo dei nazionalismi e dei frutti venefici che scaturiscono da quel tipo di mondo. Non si può fondare uno stato basandosi sui confini, su identità mitiche che si costruiscono solo in opposizione, e che dunque per esistere hanno bisogno di nemici da odiare, da distruggere, da eliminare arrecando il più alto dolore possibile.
Chiaramente le prime vittime dei nazionalismi sono le minoranze, religiose, etniche, politiche, linguistiche, esattamente come accadde agli albori del neo stato italiano e che fu poi prepotentemente rilanciato dal fascismo con il mito tecnicizzato di Patria, dio, cultura nazionale: fu il nazionalismo a causare la guerra nei Balcani e lo è stato in Ucraina con la persecuzione della minoranza russofona del Donbass.
Per creare una guerra non basta un dittatore imperialista ma è necessaria una situazione esplosiva cresciuta e alimentata nel tempo. Zelensky e Putin rappresentano due diverse facce della stessa medaglia, quella del nazionalismo e pur sapendo che uno è l’aggredito e ‘altro l’aggressore, rifiutiamo categoricamente l’assimilazione con la resistenza partigiana in cui si lottò contro un nemico interno, il fascismo e uno esterno, il nazismo, contrapponendo ad una ideologia di sopraffazione dell’uomo sull’uomo una idea di mondo di liberi e uguali, antirazzista, per un mondo nelle intenzioni, fatto di mutualismo e solidarietà, dal quale è discesa la Carta Costituzionale.
Se da un lato Putin è la manifestazione di un nazionalismo di stampo imperialista, Zelensky rappresenta un nazionalismo violento nei confronti delle minoranze interne: non solo le stragi nel Donbass, ma le abbiamo ben viste le scene degli studenti stranieri o di tutti coloro che non erano dotati di visto che non potevano scappare o salire sui treni: che cosa hanno in comune queste aberrazioni con le lotte dei partigiani di colore, dei partigiani somali, alla Giorgio Marincola che qui, sulla serra fu paracadutato e con la nostra Costituzione?
Ecco in questo contesto, alzare il livello dello scontro arrivando alla guerra totale, proprio quella necrofila, proprio quella che impone di violentare il nemico, abbracciando nella categoria anche i civili, che hanno ben poca simpatia per i tiranni che li opprimono, a chi giova?
A chi giova fornire armi che servono solo a polarizzare lo scontro e il mondo, a chi giova alzare la percentuale di PIL per la spesa militare, stazionando in una guerra perenne? Le popolazioni non vanno sostenute con le armi ma con le diplomazie e le politiche.
Lo stato di guerra e la distruzione del welfare necessario per l’industria bellica servirà solo a nutrire abbondantemente gli sciacalli nazionalisti che banchetteranno sui corpi dei più poveri.