Corteo studentesco a Torino. Più di tremila persone scendono in strada contro l’alternanza scuola-lavoro e in ricordo di Lorenzo Parelli.
A una settimana dalle violenze del 28 gennaio, quando la polizia ha brutalmente caricato il presidio degli studenti, scesi in piazza a seguito della morte del diciottenne Lorenzo Parelli per un incidente durante il periodo di scuola-lavoro, un corteo di più di tremila persone ha bloccato per tutta la mattinata il centro di Torino.
Molti sono stati in questa settimana i tentativi da parte di questura e politica per limitare la portata della figuraccia dello scorso venerdì, quando le cariche della polizia hanno ferito gravemente un gran numero di studenti quasi tutti minorenni. La motivazione addotta dalla questura per giustificare le violenze è stata il tentativo degli studenti di trasformare il presidio in un corteo, vietato perché il Piemonte è in regime di zona arancione, mentre la ministra dell’interno Lamorgese ha per l’ennesima volta sostenuto la presenza di infiltrati, una scusa che diventa meno credibile ogni volta che la si usa. In questo caso poi i video parlano chiaro: la repressione poliziesca è stata feroce, totalmente ingiustificata e ai danni di studenti pacifici e inermi.
Lungi dal farsi spaventare, i giovani hanno invece risposto coraggiosamente, occupando il liceo Gioberti, facendo saltare il tavolo di mediazione con le istituzioni, al quale hanno partecipato in tre, e rigettando la denominazione di “passeggiata consapevole” concessa dal nuovo questore Ciarambino per la manifestazione, riaffermando da subito come quello di oggi fosse un corteo a tutti gli effetti.
Partiti da piazza XVIII Dicembre alle dieci del mattino, gli studenti hanno percorso la città per oltre quattro ore, facendo tappa davanti alla sede di Confindustria in via Vela e all’ufficio scolastico regionale di corso Vittorio, con interventi e lanci di uova, per poi terminare all’interno del Campus Einaudi dove si sono riuniti in assemblea. L’intenzione insomma è di fare in modo che questo corteo non rimanga un evento isolato, ma sia l’inizio di un febbraio caldo di lotte e mobilitazioni.
A onor del vero un corteo studentesco di questa portata non si vedeva da dieci anni a Torino: organizzato da vari gruppi studenteschi (Consulta studenti, Ksa, Fgc, Last) con la solidarietà di tante realtà lavorative, tra le quali Cobas, Fiom e rappresentati del mondo Rider, il corteo ha visto la partecipazione di più di tremila persone, con interventi continui e mirati che non han risparmiato nessuno, attaccando i responsabili della distruzione della scuola pubblica degli ultimi vent’anni e la repressione poliziesca.
Un segnale forte e in controtendenza rispetto alla narrazione comune, che vorrebbe i giovani inconsapevoli, disinteressati o comunque privi di qualsiasi forza politica. Una dimostrazione che le nuove generazioni non solo vogliono essere protagoniste del proprio destino, ma che non hanno nessuna intenzione di farsi indebolire dai trucchi e dalle mistificazioni che hanno funzionato negli ultimi dieci anni contro tutti i movimenti, come la divisione tra protestanti “buoni” e “cattivi” o il suo esatto opposto, l’accettazione passiva di qualunque forza di supporto, siano essi fascisti travestiti o forze politiche istituzionali pronte a mettere la propria bandiera sopra ogni mobilitazione.
Fu proprio così che dieci anni fa nacquero i primi cori “né rossi né neri, ma liberi pensieri”, un canto discutibile che diede il via alla progressiva normalizzazione del fascismo a livello politico e alla depoliticizzazione delle lotte, dando vita a mostri amorfi “né di destra né di sinistra” (ma soprattutto né di sinistra) come il movimento 5 stelle ieri e i movimenti no green pass oggi, che con la presunzione di essere lotta di popolo finiscono col ritrovarsi invasi di fascisti nemmeno troppo ripuliti.
Ma gli studenti di oggi non sono gli stessi di dieci anni fa, e nemmeno questo paese lo è. Gli studenti che protestavano contro la ministra Gelmini e la legge Fioroni, seppure forse privi di grande profondità di analisi politica, avevano già subodorato in che direzione si intendeva portare la scuola: la progressiva trasformazione di un servizio pubblico in azienda allora era solo agli inizi, ma da allora ogni governo ha compiuto passi in questo senso, fino a ritrovarci oggi con una scuola pubblica massacrata e indietro sui tempi, dove nozionismo e competitività sul mercato la fanno da padrona e i soldi sono sempre meno, nonostante le mirabolanti allucinazioni del neoliberismo selvaggio. Su questo già preoccupante disastro culturale si sono abbattuti due anni di pandemia, con tutta la dad, la confusione e l’enorme buco nell’istruzione della nuova generazione. Non è un caso infatti che tra le richieste degli studenti ci sia anche quella di saltare le prove scritte: non è una questione di pigrizia o ignoranza, come vorrebbero i detrattori di queste richieste, ma una comprensibile reazione ad un sistema scolastico retrogrado e istericamente burocratico, la cui unica preoccupazione dopo aver sostanzialmente privato gli studenti della scuola per due anni è dargli un numero con il quale valutarli.
Da anni si parla di come la scuola italiana, la cui impostazione è ancora oggi erede della riforma Gentile, necessiti di un cambiamento e di una modernizzazione. Molte sono state in questo senso le proposte, arrivate da pedagoghi, insegnanti e dai giovani stessi: si è parlato di abolire i voti, di ridurre i compiti a casa, di diminuire il nozionismo in favore dell’applicazione delle conoscenze, di togliere fondi alle scuole private per rifinanziare gli istituti pubblici.
Nulla di tutto questo è stato applicato. Le uniche riforme, presentate sempre come avanguardia della modernizzazione, hanno avuto come effetto non solo la trasformazione della scuola in azienda, ma anche un’enorme confusione burocratica nel tentativo di limitare i danni e salvare la faccia. L’alternanza scuola-lavoro, oggi nota come PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento, per il principio secondo il quale quando qualcosa non funziona le si dà un nome diverso), è l’apoteosi di questo processo atto a normalizzare fin dal periodo scolastico la logica dello sfruttamento, della competizione del mercato e di una definizione del valore della cultura per la società su base esclusivamente economica. Il tutto creando una forza lavoro gratuita a disposizione delle aziende, che in questo modo non devono nemmeno pagare corsi di formazione per i nuovi dipendenti, con la promessa di un posto di lavoro appena finita la scuola, qualcosa che una generazione nata e vissuta nella crisi non ha il privilegio di poter rifiutare. Un vero capolavoro di neoliberismo dell’allora presidente Renzi, uomo della provvidenza di Confindustria, il cui nome ricorre più volte negli interventi del corteo.
Ma a differenza degli studenti che nel 2015 all’epoca della Buona Scuola sembravano aver perso per sempre il loro ruolo politico eredità dei moti degli anni ‘70, i giovani oggi mandano un messaggio diverso, rivendicando il proprio posto all’interno del dibattito pubblico dal quale sono da sempre estromessi e rinsaldando i legami con il mondo del lavoro, l’altro grande sconfitto dal liberismo di matrice berlusconiana prima e renziana poi. Un fenomeno che non si limita a Torino, ma che ha visto mobilitazioni in tutte le maggiori città italiane e che a Roma ha dato vita, dopo mesi di proteste e di occupazioni (a malapena raccontate dai media, troppo interessati a cercare i NoVax) al movimento studentesco denominato Lupa, nel tentativo di far convergere le lotte e le richieste degli studenti sotto un’unica bandiera.
Così una generazione spesso raccontata ma mai protagonista alla quale il futuro è stato strappato dalla crisi e il presente dalla pandemia, sulle cui spalle si scarica il peso del cambiamento climatico e di un sistema economico al collasso, risponde all’impotenza e alla rassegnazione che ha ormai investito tutti gli ambiti della società con rinnovato, rifiutando il passivismo e confutando la narrazione comune che vorrebbe i giovani schiavi di un mondo digitale che invece dimostrano di saper sfruttare meglio di chi li ha preceduti.
Citando le parole dell’intervento di chiusura del corteo: “Questo non è che l’inizio”.
Lorenzo Zaccagnini