Due cose, su tante, mi colpiscono della tragedia di Torino dove tre montatori hanno perso la vita cadendo dalla gru che ha ceduto, sfracellandosi al suolo.
La prima è che è accaduta a Torino, la mia città, anche se non ci abito più da tempo. Via Genova, luogo della tragedia, la conosco bene e l’ho percorsa spesso, anche negli ultimi anni, fermando la macchina di fronte all’ingresso laterale dell’ospedale Molinette. Ma, a parte gli amarcord, morire di lavoro soprattutto a Torino, dopo il disastro Thyssen, non doveva più accadere. E invece.
La seconda è che Filippo Falotico, una delle tre vittime, aveva vent’anni. E amava il suo lavoro. C’è chi a vent’anni pensa a lauree, master, impieghi dai nomi inglesi incomprensibili però così “trendy“. Filippo montava sulle gru: era un trapezista contemporaneo e si divertiva. Fino a ieri.
Purtroppo, in Italia di lavoro si continua a morire, troppo. Fa ancor più male quando si muore a vent’anni, come è successo a un ragazzo come Filippo, che postava immagini per raccontare il suo sentirsi bene a quelle altezze vertiginose. Il selfie con i suoi due compagni di squadra, morti anch’essi, è quasi insopportabile.
Chissà se questa ennesima tragedia ci faccia discutere seriamente di morti sul lavoro, anziché litigare (e sfottersi) tra fazioni per la liceità o meno di uno sciopero generale. Di Filippo Falotico ha scritto, con la sua consueta sensibilità, Niccolò Zancan nel ritratto pubblicato su La Stampa.
Quotidiano di Torino, appunto.
Davide Valenti