Quella della Embraco di Riva di Chieri è una storia che si ripete: aziende che vengono affossate dalle logiche di puro profitto delle multinazionali, spolpate da falsi imprenditori e non salvaguardate dal ministero dello sviluppo economico, sempre più inutile per la sua incapacità a trovare soluzioni o almeno a intercettare false opzioni. OPC e Agile sono due esempi gemelli a Embraco nel nostro territorio.
La crisi Embraco è la crisi della grande industria italiana trascinata nel baratro dagli interessi di multinazionali diametralmente opposti al sano sviluppo industriale del paese. Ed anche la crisi di un paese senza una visione, senza una politica industriale, che lascia delocalizzare, chiudere, fare terra bruciata, creando livelli di disoccupazione che dovrebbero allarmare. Invece tutte le politiche sul lavoro, sugli investimenti, continuano a favorire le imprese, le grandi imprese.
La vicenda dello stabilimento Embraco di Riva di Chieri inizia nell’ottobre 2017 quando la controllante Whirpool annuncia di voler delocalizzare la produzione di compressori per frigoriferi in altri suoi stabilimenti nell’Europa dell’est. La situazione precipita quando il 10 gennaio 2018 Whirlpool avvia la procedura di licenziamento collettivo per tutti gli allora 500 dipendenti. A seguito dell’immediata reazione dei lavoratori con presidi ai cancelli e appelli a tutti i livelli, l’azienda si convince a congelare la procedura e si impegna a mantenere l’occupazione attraverso la reindustrializzazione, cioè si impegna a sostenere anche economicamente l’arrivo di una nuova impresa che si facesse carico di tutti i lavoratori
La falsa soluzione Ventures avvallata dal Mise
Nel giugno 2018 Whirpool vende alla Ventures, un’azienda italo-israeliana pare identificata dalla stessa Whirpool per la cessione. Il passaggio di proprietà ricevette anche la benedizione dell’allora ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda. I fatti dimostrano che probabilmente Whirpool usò Ventures per “liberarsi” dell’azienda rimanendo “pulita”. E il ministero dello sviluppo economico mise (nomen omen) la sua firma sull’ennesima falsa impresa.
Ventures prometteva il salvataggio e il rilancio dell’azienda portando a Riva di Chieri la produzione di robot per pulire i pannelli fotovoltaici, biciclette elettriche, distributori d’acqua intelligenti, giochi smart, … un ottimo e avanzato pacchetto di prodotti. Ma come in un copione stravisto la Ventures Srl di Nino di Bari e Ronen Goldstein, si è rivelata un bluff. E i primi ad accorgersene sono stati gli operai, a partire da quelli che a gennaio 2019, fino al novembre dello stesso anno, Ventures richiamò dalla cassa integrazione per dipingere muri e pavimenti… “Eravamo scettici sull’operazione, ma a fronte del licenziamento non avevamo scelta”, ricorda Ugo Bolognesi, responsabile della vertenza per la Fiom torinese.
In due anni pare che Ventures non abbia mai emesso una fattura, non abbia pagato debiti, non abbia prodotto nulla. L’unica attività sembra sia stata l’incasso dei fondi destinati da Whirpool per la reindustrializzazione dirottati invece verso consulenze milionarie ai manager stessi dell’azienda. Lo stabilimento di Riva non è stato quindi rilanciato come promesso, ma in compenso le casse dell’azienda sono state svuotate. I sindacati lanciano l’allarme, vengono avviate le indagini della magistratura torinese che senza sorpresa portano all’ipotesi di reato di “bancarotta fraudolenta per distrazione.” e all’immediato sequestro dei conti correnti, di titoli e autovetture di lusso, per scongiurare ulteriore spolpamento del patrimonio dell’azienda.
Arriva Italcomp. Si riaccende la speranza.
Un duro colpo per i lavoratori la truffa subita, ma nel settembre 2020 si riapre uno spiraglio di speranza. La sottosegretaria allo sviluppo economico Alessandra Todde presenta nella sede della Prefettura di Torino un piano di rilancio per l’Embraco che prevede la nascita di una nuova azienda per produrre compressori per la catena del freddo. La nuova società si chiamerà Italcomp e nascerà dalla fusione tra l’Embraco e la Acc (azienda acquisita e poi dismessa dai cinesi di Wanbao) di Mel-Borgo Valbelluna in Veneto, salvando in totale 700 posti di lavoro. “L’obiettivo in termini di produzione è di sei milioni di compressori, diventando il terzo polo sul mercato europeo. Lo sviluppo della nuova società sarà basato su una filiera a vocazione italiana ed europea. Il sito di Riva di Chieri avrà il ruolo di centro di eccellenza per la produzione di motori e il sito di Mel sarà dedicato all’assemblaggio dei compressori.”, dichiarava la sottosegretaria Todde. L’azienda sarà a capitale misto pubblico-privato con la partecipazione pubblica di Invitalia, Regione Piemonte, Regione Veneto.
Ma, in queste vicende c’è sempre un ma, accade che a gennaio cade il governo Conte, arriva Draghi, cambia il titolare del ministero dello sviluppo economico. Il Mise passa da Stefano Patuanelli (M5S) a Giancarlo Giorgetti (Lega). E il progetto industriale del polo italiano del compressore va in stallo per via delle divergenze su Italcomp fra il ministro leghista che avversa la soluzione public company, e la già sottosegretaria ed oggi viceministra pentastellata Alessandra Todde che l’ha proposta in rappresentanza dell’ultimo governo Conte. Questi sono gli effetti di un governo patchwork.
Dalla speranza alle lettere di licenziamento
In questo scenario la situazione dei lavoratori, in cassa integrazione da quasi 4 anni, è sempre più drammatica. Il 30 aprile i 400 dipendenti di Riva di Chieri hanno ricevuto le lettere di licenziamento che scatterà dal 23 luglio quando scadranno gli ammortizzatori sociali.
I lavoratori che in questi anni hanno manifestato in tutte le forme e luoghi la loro disperazione e lottato con forza determinazione per rientrare a lavoro, in queste ultime settimane hanno intensificato la mobilitazione. Sabato 8 maggio erano a Torino alla partenza del Giro d’Italia per ribadire la richiesta di un incontro urgente al ministro dello sviluppo economico e per forzare il pressing per l’avvio del progetto Italcomp e affrontare il tema degli ammortizzatori in scadenza a luglio.
Dal 18 maggio i lavoratori hanno ripreso il presidio permanente davanti al palazzo della Regione in piazza Castello a Torino. Accanto ai cartelli si possono vedere appese le lettere di licenziamento.
Abbiamo chiesto a Bolognesi quali siano oggi le priorità per i lavoratori: «Bisogna risolvere il problema della cassa integrazione che scade a luglio. Siamo in attesa di capire come attuare il possibile prolungamento della cassa integrazione di sei mesi, serve l’atto formale che permetta al curatore di fare domanda.» E’ chiaro che alla concessione di ammortizzatori sociali deve corrispondere un piano di ripresa delle attività nello stabilimento e il ministro Giorgetti non può rimandare oltre il suo pronunciamento su Italcomp. «Il progetto Italcomp – continua Bolognesi – oltre a mirare a salvare 700 posti di lavoro (la ACC in Veneto è in amministrazione straordinaria) può essere il tentativo di ricreare una filiera di produzione di componenti per elettrodomestici e rendersi minimamente autonomi dai paesi asiatici che producono il 90% di questi componenti. La pandemia ha evidenziato altri limiti della globalizzazione, negativi non solo per i lavoratori. Limiti che hanno messo in crisi diversi settori (anche quello automobilistico ad esempio) per i possibili ritardi se non addirittura blocchi nelle forniture di componenti, elettronici (come i semiconduttori) e non solo. Occorre accorciare la filiera produttiva e poi certo occorrerebbe avere un piano industriale come Paese. Indirizzare le produzioni. Gli stessi operai della Embraco hanno sempre detto, noi ci siamo, siamo operai specializzati e esperti, lo stabilimento c’è. Cosa serve produrre? Servono respiratori? Possiamo produrre respiratori. Serve produrre mezzi per la manutenzione dei pannelli fotovoltaici nell’ottica della green economy? Noi ci siamo. Quello che manca è la visione e soprattutto la volontà politica.»
Ad ogni crisi, ogni giorno in verità, ci chiediamo: questo paese sa di cosa ha bisogno? Sa in quale settore puntare per sviluppare l’occupazione e il benessere dell’intera popolazione? O vuole questo paese lasciar chiudere le fabbriche senza saper costruire un’alternativa? Purtroppo nemmeno nel PNRR ci sono risposte a questi semplici quesiti.
Cadigia Perini