Il naviglio di Ivrea che si stacca dalla Dora, in periodo di secca come l’attuale, ha rivelato come il ceruleo fiume sia utilizzato, come comoda discarica, da parte di cittadini del tutto indegni di essere qualificati come tali
Il problema dei rifiuti, riemersi nell’alveo semiprosciugato del fiume, ha sollevato le puntuali polemiche tra i vari enti deputati alla gestione di questo corso d’acqua che caratterizza così peculiarmente la nostra città.
Il Comune, le forze politiche, l’amministrazione e la coutenza della gestione del naviglio, stando a quello che leggo sulla stampa locale, si rimpallano le decisioni su chi debba agire per primo nelle operazioni di bonifica, già propendendo per l’inevitabile rinvio perché, nel frattempo, l’acqua è un tantino risalita e bisognerà attendere che sia nuovamente manifesto il livello di inciviltà raggiunto da coloro a cui nessun corso di riconversione culturale ed educativa potrebbe giovare.
Come detto, il livello dell’acqua del naviglio è momentaneamente risalito, stendendo il suo velo pietoso ad occultare oggetti biodegradabili come lavatrici, pneumatici, registratori di cassa e persino, stando alle foto pubblicate su alcuni giornali, la sagoma corrosa di un vecchio videopoker.
Ivrea la Bella, nonostante l’incoraggiante nomina a patrimonio dell’Unesco, continua a tradire se stessa, più votata ad assecondare un progressivo e mortificante degrado che a valorizzare il suo alto potenziale. Di fatto degrada la Serra, degrada Talponia, degrada la passerella o terzo ponte, degrada la Dora, degrada piazza di città ultimamente pronta ad accogliere, come fiore all’occhiello del salotto cittadino, una sede della Despar, supermercato quanto mai indicato come luogo di ritrovo e socialità, di accoglienza e di stile.
Ivrea la Bella abdica, da tempo, alla sua qualifica più poetica e letteraria, penalizzata non solo dal Covid ma anche dalla trascuratezza e dalla decadenza.
In controtendenza va fatto un plauso a quei volontari, dotati di giacche fosforescenti che, nonostante il freddo pungente dei mesi scorsi, si sono prodigati nel riverniciare l’antica e ormai ondeggiante ringhiera del lungo Dora. Il tutto in attesa che anche la pavimentazione in asfalto disintegrato, delimitato dalla stessa, conosca giorni migliori.
Adesso che i rifiuti non si vedono più, non perché sono stati rimossi, ma perché nascosti dall’acqua come la polvere sotto il tappeto, gli eporediesi potranno tornare a godersi la vista della Dora, indifferenti e compiaciuti come le papere sotto l’abbraccio protettivo e ombroso del salice piangente che ancora ammanta di bellezza il naviglio.
Gli eporediesi si accontenteranno di osservare, estasiati, i riflessi del sole sull’acqua, luci tremule nei sospiri delle onde che coprono la vergogna delle azioni commesse, impunemente, dagli inquinatori.
E poi, sempre come se niente fosse, confidando nella dimenticanza del tutto, si godranno anche le prossime gare di canoa nello stadio che, sotto il naviglio e nutrendosi di esso, attende gli atleti di questo magnifico sport.
Il pubblico, Covid permettendo, festeggerà in nome dello sport che è veicolo di salute, di forza e di divertimento per tutti e che è anche sinonimo di vita all’aria aperta e di contatto e di rispetto della natura.
E per questa volta, come per tutte le altre in precedenza, tutto rientrerà nella logica che ciò che conta e solo ciò che appare perché sotto il vestito, al di sotto della superficie, tutto quello che non si vede nemmeno esiste.
Pierangelo Scala