Dalla scelta dell’ONU di eliminare la cannabis dalla lista IV delle sostanze stupefacenti alla fusione delle società canadesi Aphria e Tilray, la liberalizzazione della canapa nel mondo avanza. Anche in Italia c’è chi vede in essa una possibile soluzione ai nostri problemi. Ne parliamo con chi ci lavora
Marco Maffei, 33 anni di Ivrea, fa parte dell’Associazione Canapese Cannabis Social Club, fondata nel 2016, la quale si occupa di promuovere, tutelare, diffondere la coltivazione, l’uso della canapa e il suo impiego nei diversi settori produttivi. Marco ha aperto un negozio di canapa “light” ai piedi dello storico hotel La Serra poco dopo la fine del primo lockdown e si considera un attivista per la legalizzazione e la liberalizzazione della cannabis. Abbiamo parlato con lui degli ultimi aggiornamenti a riguardo.
Iniziamo venendo incontro ai nostri lettori meno informati sull’argomento: di cosa ti occupi esattamente?
M.M.: Vendo principalmente cannabis cosiddetta “light” e suoi derivati. Si tratta di varietà selezionate per contenere un livello quasi nullo di THC (tetra-idro-cannabinolo), il principio psicoattivo della cannabis. La pianta è sempre la stessa che in modo erroneo viene chiamata marijuana, il nome dispregiativo nato quando si iniziò a proibirla. L’unica differenza è la selezione che ci sta dietro, che porta la pianta a sviluppare maggiori livelli di un principio attivo piuttosto che un altro.
Hai aperto il tuo negozio all’interno della struttura della Serra, accanto al fu ABCinema d’essai, una zona decisamente dimenticata. Come mai questa scelta?
M.M.: È assurdo che un posto come La Serra sia lasciato in queste condizioni, quando rappresenta non solo un vanto, ma anche un potenziale valore aggiunto per questa città. Altrove ci invidiano una struttura del genere, mentre a sentire le chiacchiere che girano molta gente abbatterebbe tutto senza pensarci due volte.
Aprire un negozio qui, parlare con le persone intorno, ripulire dalla sporcizia, sono tutte cose che faccio per cercare di combattere questo abbandono. È un modo attivo e concreto di combattere il degrado, sicuramente più utile che chiudere o abbattere.
In che modo pensi che la tua attività possa essere utile a combattere il malessere sociale?
M.M.:Faccio la mia parte per sensibilizzare riguardo ad una liberalizzazione ben regolamentata della cannabis, compresa quella con livelli più alti di THC. E’ un discorso che va oltre i benifici economici: si parla di soldi sottratti alle mafie, di persone sottratte dal circolo dell’illegalità. Per fare un esempio, oggi la coltivazione di cannabis con THC è punita in modo molto più pesante rispetto all’acquisto attraverso il mercato nero; così facendo si favorisce il traffico illegale e si spinge nell’illegalità un enorme quantitativo di persone. Anche il mercato attualmente legale della cannabis a basso livello di THC vive oggi in una zona grigia legislativa, che non tutela completamente né noi né il consumatore.
L’ONU ha recentemente tolto la cannabis dalla lista delle sostanze stupefacenti più pericolose, almeno questo dovrebbe essere un buon segno?
M.M.:Si è fatto molto più rumore del necessario su questo fatto: l’ONU ha sì tolto la cannabis dalla lista IV delle sostanze stupefacenti, ma ciò significa solo che l’ha riconosciuta come sostanza potenzialmente utilizzabile a scopi terapeutici. È una cosa già assodata da tempo, anche in Italia è possibile già da anni la prescrizione per uso terapeutico. Semplicemente gli Stati facenti parte dell’ONU, i quali avevano già constatato singolarmente come questa sostanza non fosse pericolosa, ma anzi avesse notevoli proprietà curative, si sono espressi ufficialmente in questo senso non più come singoli ma come Organizzazione delle Nazioni Unite. È un buon segno, ma è più una formalità che qualcosa di concreto.
Mentre nel mondo la legalizzazione avanza (si pensi a quanto è cambiata la situazione negli USA, in Canada o in Spagna in questi ultimi anni), in Italia sembriamo inesorabilmente immobili. Qual è il problema?
M.M.:Ovviamente c’è una parte di società più conservatrice che si è sempre opposta e sempre si opporrà a queste idee, ma non è solo questo il problema: negli anni sono state portate avanti molte proposte, con vari movimenti politici, primi tra tutti i radicali, che si son fatti portavoce di queste lotte. Non hanno un vero interesse perché si arrivi ad una svolta, ci guadagnano di più dal mantenersi della zona grigia e non solo a livello di voti: la grande quantità di processi legati alla cannabis è anch’essa un grosso affare che fa arricchire un mucchio di gente.
Attualmente quali iniziative sono sul tavolo?
M.M.:La più grande è sicuramente il Manifesto Collettivo, la proposta di legge finora più completa mai portata. Come Associazione Canapese siamo stati tra i primi ad aderire e a farcene promotori. Per ora ha superato i centomila firmatari. Proponiamo un mercato libero ben regolamentato della cannabis, che porterebbe beneficio economico, nuove regole per la coltivazione, il possesso e il consumo, con relativa decadenza dei reati precedenti alla nuova legge. Con i soldi guadagnati dal commercio e risparmiati dalla giustizia proponiamo di investire nel servizio sanitario, il quale potrebbe beneficiare di un regime di controllo più morbido per quanto riguarda la coltivazione e la sperimentazione a scopo medico.
Parli di un mercato libero controllato, siete contrari quindi ad una forma di monopolio di Stato come accade per le sigarette?
M.M.:Sì, stroncherebbe la nascita di nuove attività dando la possibilità di rivenderla solo a pochi autorizzati; la mancanza di concorrenza finirebbe col causare l’aumento dei prezzi e il mercato nero ritornerebbe egemone come prima. In più vi è un problema di sicurezza personale se lo Stato che l’ha fino adesso proibita ne diventa l’unico rivenditore: il consumatore è costantemente messo a rischio dalla possibilità che il vento politico cambi e si ritorni indietro, ed essere pubblicamente segnalato come consumatore.
Le due società canadesi di produzione e distribuzione di cannabis Aphria e Tilray si sono recentemente fuse dando origine ad un colosso stimato 4 miliardi di dollari. Non credi che la liberalizzazione possa portare all’egemonia su questo mercato di grandi multinazionali o comunque di chi dispone di enormi capitali a discapito del piccolo negozio e delle associazioni?
M.M.:È per questo che parlo di liberalizzazione controllata, di un mercato libero regolamentato, in modo che se ne possa trarre un vantaggio anche economico per tutta la società. Questa è la mia opinione ovviamente, per questo serve andare avanti con il dibattito. Il problema più grande è che il discorso pubblico è ancora fermo al sì o no alla legalizzazione. Non dovremmo chiederci se applicarla, ma come applicarla.
Lorenzo Zaccagnini