STRAJK KOBIET

La protesta femminista in piazza Castello ci ricorda la dimensione globale del femminismo contemporaneo

Come trattato a suo tempo dalle pagine di questo giornale, il Piemonte si è recentemente opposto alle nuove linee guida del Ministero della Sanità, varate dal ministro Speranza ad agosto, riguardo la somministrazione della pillola abortiva Ru486. In un momento di pesante crisi sanitaria, la regione ha preso una decisione marcatamente ideologica, mascherata da interesse per la salute delle donne, non solo impedendo la somministrazione della pillola nei consultori, ma favorendo persino l’ingresso nei reparti dove si pratica l’interruzione di gravidanza di volontari delle associazioni pro-vita.
Oltre ad andare contro il parere di medici e scienziati (la somministrazione della Ru486 nei consultori e senza i tre giorni di ricovero sono ormai la prassi nella maggior parte dei paesi europei), questa decisione appesantisce ulteriormente il sistema sanitario nazionale nel momento forse peggiore per la sua storia, in una regione dove i contagi avanzano ad un ritmo preoccupante.
Per tutti questi motivi il 31 ottobre si sono riunite in piazza Castello circa trecento persone e diverse associazioni legate ai diritti delle donne come Non una di meno, il centro antiviolenza di Alessandria Me.dea, Wild CAT (Collettivo Anarco-femminista Torino) e D.i.Re (donne in rete contro la violenza).
Di questo tipo di iniziative c’è bisogno ora più che mai, non solo per contrastare le scelte portate avanti dalla Regione nella persona del consigliere Marrone, che in un recente post ha paragonato le manifestanti a delle streghe rivelando altresì la propria malcelata natura di aspirante inquisitore, ma soprattutto a causa dell’attacco contro il diritto all’interruzione di gravidanza e all’autodeterminazione sul proprio corpo che viene portato avanti a livello internazionale. Numerosi durante il presidio sono infatti i riferimenti a ciò che sta accadendo in Polonia in questi giorni nel sostanziale disinteresse dei media nostrani, sia nei discorsi sia nelle immagini: ovunque donne con un fulmine rosso (simbolo della protesta) disegnato addosso e cartelli con la scritta Strajk Kobiet (sciopero delle donne in polacco).

Nella cattolicissima Polonia il Pis (partito ultraconservatore attualmente al potere) ha utilizzato la corte costituzionale, di cui ha preso abusivamente il controllo da qualche mese (manovra che è valsa alla Polonia una procedura di infrazione con l’Unione Europea), per limitare ulteriormente la possibilità di interrompere la gravidanza, proibendo l’aborto anche in caso di gravi malformazioni del feto. In un paese che aveva già una delle leggi più restrittive sul tema, ciò ha provocato una generale insurrezione, con manifestazioni e proteste che negli ultimi dieci giorni si sono moltiplicate per tutta la Polonia. Proteste alle quali il Pis ha deciso di rispondere schierando i militari, facendo percepire a molti osservatori il pericolo di una possibile guerra civile. Come al solito l’interesse a “difendere la vita” vale solo verso feti ed embrioni, una volta che nasci posso anche massacrarti in piazza.

Se ad Est le cose vanno male, ad Ovest non va molto meglio: negli Usa, con la nomina del nuovo giudice della corte suprema Amy Coney-Barret, ultraconservatrice e cristiana radicale, l’amministrazione Trump ha segnato un grosso punto a favore della lotta anti-abortista. Ma se di questo fatto se ne è parlato molto, lo stesso non si può dire di un fatto ancora più grave: una decina di giorni fa, gli Stati Uniti hanno firmato la Geneva Consensus Declaration, un documento internazionale di chiara ispirazione anti-abortista (che come al solito si presenta come documento per la salute della donna), unendosi ad altri 32 paesi tra i quali Arabia Saudita, Uganda e ovviamente la Polonia. Tutti grandi esempi di come l’amministrazione Trump intenda il significato di democrazia. Da anni negli Stati Uniti le associazioni cosiddette “pro-vita” portano avanti un attacco per ribaltare la famosa sentenza Roe contro Wade che nel 1973 sancì il diritto all’aborto in America. Queste associazioni influenzano fortemente la politica statunitense, potendo contare non solo su enormi somme di denaro ma soprattutto su di un piccolo esercito di fanatici cristiani che stazionano davanti ai centri dove si praticano IVG facendo terrorismo psicologico e rendendo ancora più pesante il tutto per le donne. Sono le stesse associazioni che il consigliere Marrone vorrebbe inserire negli ospedali italiani.

La protesta in Polonia, 30 ottobre

Ritornando quindi al nostro piccolo Piemonte, nonostante la vivacità della protesta, in un momento come questo dove qualunque tema non sia connesso strettamente al covid sembra passare in secondo piano, non si può evitare di percepire una certa frustrazione generale: possibile che nel 2020 stiamo ancora difendendo il diritto di autodeterminazione delle donne sul proprio corpo?
Seppure questa frustrazione sia perfettamente comprensibile e giustificata dalle notizie che ogni giorno leggiamo sul tema, non è il caso di disperare: la recente ondata internazionale di attacchi contro la libertà di scelta è solo la risposta al movimento femminista, che negli ultimi anni ha dimostrato una forza enorme proprio grazie alla solidarietà internazionale che si è creata tra le donne di tutto il mondo: si pensi solo alla portata del movimento #MeToo , o alla formazione di Ni una menos in Argentina nel 2015, che nell’anno successivo seguì l’esempio delle donne polacche, che già all’epoca furono le prime a scendere in piazza per difendere il diritto all’aborto, proclamando il primo sciopero delle donne contro le violenze di genere e per l’autodeterminazione sul proprio corpo. Tutti questi movimenti in pochi anni non solo si sono espansi in buona parte del mondo, ma sono entrati con forza nel discorso pubblico, ribaltando il tavolo e cambiando radicalmente i temi e i modi del dibattito a riguardo, dimostrando altresì un’enorme forza globale. L’uso di #MeToo è rimbalzato velocemente nei social di tutto il mondo mettendo in evidenza la natura sistemica delle molestie sessuali, legate ai rapporti di potere preesistenti e alla cultura machista imperante, il movimento Ni una menos ha assunto in breve tempo carattere internazionale con la nascita di gruppi simili in diverse nazioni, lo sciopero delle donne, lo stesso strajk kobiet che ha avuto inizio dalle donne polacche e che oggi è ritornato in quelle stesse piazze, si è presto diffuso in tutto il mondo, diventando una realtà anche qui in Italia.

Vista in quest’ottica, la forza dell’attacco che viene internazionalmente portato avanti oggi contro la libertà di scelta delle donne va decisamente ridimensionata. Non si tratta di un movimento forte e in ascesa; assomiglia piuttosto all’ultimo rabbioso morso di un animale messo all’angolo, l’ultimo attacco disperato di un sistema che vede la fine sempre più vicina, non solo a causa dell’innegabile forza del femminismo, ma soprattutto per via della questione anagrafica: sempre più giovani, anche maschi, partecipano alle lotte di genere, e per molti che pur non militano alcuni valori sono diventati normalità. Anche in Piemonte, oltre alle ovvie proteste dell’opposizione, si è espressa in modo insolito anche la Lega, prima forza della maggioranza, per voce del capogruppo Prioni e della consigliera Zambola, la quale afferma che: “Da donna, prima che da politico posso garantire che qualsiasi scelta definitiva su un tema così delicato sarà frutto di precise valutazioni e verrà in ogni caso fatta nell’ottica di difendere un interesse fondamentale per le donne“. Una posizione insolitamente progressista da parte della Lega, dettata ovviamente non da valori ideologici, ma dal desiderio di stroncare FdI, alleato scomodo e concorrente agguerrito, e i colpi di testa del suo consigliere Marrone, ma che è comunque sintomo di quanto la questione perda terreno anche all’interno della galassia conservatrice.
Il futuro per il vecchio sistema è grigio, il suo destino finale quello di mantenersi solo dentro piccole comunità religiose settali ed estremiste, mentre quelle che oggi sono conquiste del femminismo diverranno normalità. Non si può fermare il vento, solo fargli perdere tempo.

Lorenzo Zaccagnini