Dopo 14 settimane di FIS iniziate durante il confinamento, l’azienda ricorre nuovamente agli ammortizzatori sociali per riorganizzare le attività di call center. E a pagare son sempre i lavoratori.
Lunedì 19 ottobre riparte la cassa integrazione (Fis) in Comdata Ivrea per 220 lavoratori della sede di Ivrea. E questo nonostante gli entusiastici annunci di settembre che fanno scrivere di Comdata sul Corriere del 10 settembre [il grassetto è della scrivente, ndr]: “Un’azienda italiana da un miliardo di fatturato, di cui 350 milioni realizzati nel nostro Paese, il resto in una ventina di altri mercati. Un top manager appena arrivato e un piano industriale per i prossimi tre anni che era pronto già a febbraio ma sarà presentato a fine settembre: anche nel settore dei call center la pandemia ha cambiato lo scenario. Ma per Comdata la traiettoria rimane quella di una forte crescita”. E il neo amministratore delegato dichiara «A marzo in pochi giorni abbiamo dovuto organizzare le attività in smart working per 8 mila persone su 10 mila in Italia. E il 70% della forza lavoro complessiva, che è attorno ai 50 mila dipendenti. Una fase di enorme complessità. Ma ora ne siamo usciti» e aggiunge che il giro d’affari è tornato ai livelli dell’anno precedente e che il secondo semestre si conferma in linea con l’esercizio precedente.
Ma tutta questa positività non riguarda evidentemente Ivrea (e nemmeno le sedi di Asti, Marcianise, Olbia, Padova, Roma e Torino). Infatti il primo ottobre l’azienda comunica in una lettera alle organizzazioni sindacali che dopo le nove settimane di FIS richieste a marzo e le ulteriori cinque a maggio, “di trovarsi costretta” a richiedere un nuovo intervento del Fondo di Integrazione Salariale per la sede di Ivrea per nove settimane a partire dal 19 ottobre “per dare attuazione ad un progetto di completamento degli skill e delle conoscenze tecniche del personale”.
Ebbene sì, in questo “moderno” mondo dei servizi, la formazione si fa con i lavoratori in cassa integrazione (Fis), ovvero a carico dello Stato e in parte delle lavoratrici e dei lavoratori che perdono una quota della retribuzione.
La reazione sindacale
Il giorno successivo all’annuncio le Rsu hanno risposto alla lettera dell’azienda con un comunicato dove esprimevano la propria contrarietà “per l’utilizzo dell’ammortizzatore sociale in un anno che ha già visto gli stipendi decurtati per lunghi periodi; pur comprendendo la necessità di riqualificare e ampliare le competenze del personale diventa difficile comprendere come una insaturazione di alcuni reparti non possa essere compensata con la crescita di un’ altra commessa.” Ma alla contrarietà non è seguita una mobilitazione dei lavoratori per provare contrastare (o limitare) la decisione unilaterale e arbitraria dell’azienda che infatti ha proseguito senza ostacoli ad attuare il suo piano. Così nell’incontro sindacati-azienda del 6 ottobre vi è stata più che altro una presa d’atto delle dichiarazioni dell’azienda sull’impatto sui volumi per l’emergenza Covid-19, dalla riduzione fino all’azzeramento di alcune attività fra marzo e luglio scorsi con l’effetto di produrre “insaturazione” (esuberi) per l’equivalente di circa 150 FTE (tempi pieni, il che significa un numero maggiore di persone colpite, visto che la maggior parte degli operatori sono in part time). Comdata ha dichiarato, si legge nel comunicato sindacale, di dover procedere con un piano di formazione multiskill da ottobre a novembre su circa 220 lavoratori per “aumentare la capacità organizzativa di gestire maggiori tipologie di flussi, proseguendo gli investimenti di consolidamento delle attività pregiate. … con l’obiettivo di mettere ancor più in sicurezza il sito di Ivrea”. “Che avrà voluto dire?” si chiedeva Simona Marchini nella storica trasmissione radio Black out, e lo stesso si chiedono molti lavoratori.
Delle attività pregiate e della pressione
Quali sono le attività pregiate – che fra l’altro implicano quindi l’esistenza sul sito di attività scadenti per la gioia e soddisfazione dei lavoratori che le svolgono – dalle quali dipende la sorte della sede di Ivrea? E la formulazione aziendale non vuol essere forse un messaggio, nemmeno tanto subliminale ai sindacati, una pressione ad accettare il FIS, pena il rischio della “messa in sicurezza” della sede di Ivrea?
Lunedì 19 ottobre riparte la cassa integrazione (Fis) in Comdata Ivrea per 220 lavoratori della sede di Ivrea. E questo nono
Dal “lato sindacale – si legge nel comunicato che spiega tutte le motivazione e modalità del FIS – si è ribadita l’importanza della formazione e riqualificazione dei dipendenti della sede di Comdata Ivrea, in un’ottica di salvaguardia del perimetro occupazionale.” Voilà, la pressione ha funzionato.
Comdata, bontà sua perché non ne è obbligata, concede ai lavoratori in FIS una quota una tantum a compensazione della parte di retribuzione persa. Per l’azienda è comunque un affare perché paga solo un frammento di retribuzione per formare il proprio personale. E sui criteri di assegnazione dell’una tantum vi sono molte perplessità da parte dei lavoratori.
Queste nuove settimane di FIS con l’obbligo di frequentare i corsi sono accolte con rabbia da diversi lavoratori. “L’azienda parla di 150 esuberi FTE tra marzo e luglio e lo comunica solo adesso? E le Rsu dov’erano?“, si sfoga un lavoratore. E’ un dato di fatto che l’azienda decide e comunica quello che ritiene nei tempi che ritiene. E’ così in tutto il comparto dei servizi, e non solo.
Certo non è facile essere rappresentante sindacale in un settore come quello dei call center, improntato sulla precarietà e costantemente sotto ricatto. Il “se non ti va bene te ne puoi andare che fuori c’è la fila” vince su tutto. Ma un sindacato può abdicare al proprio ruolo? Rinunciare alla sensibilizzazione dei lavoratori? La presa di coscienza sui diritti, la mobilitazione, non dovrebbero mai venir meno e certamente un altro modo di rappresentare i lavoratori è possibile. E’ sicuramente più faticoso, comporta scontri con l’azienda e anche con i colleghi, e perfino talvolta isolamento. E di questi tempi porta rari risultati a favore dei lavoratori, ma ci si deve almeno provare. Le aziende devono sapere che non è scontato che ogni cosa che decidono sulla testa dei lavoratori passerà solo con un paio di “tavoli” di consultazione.
Cadigia Perini