L’economia dovrebbe diventare decente, ovvero rispettare la dignità delle persone. Ma oltre che ripetere l’ovvio, riusciremo a capire come?
Giovedì 9, alle Officine H, è stato presentato il libro “Economia decente. Come crescere senza umiliare le persone”. L’autore del libro, Francesco Maggio, sotto invito del Forum Democratico del Canavese ha potuto così esprimere alcuni concetti fondamentali del suo libro, concetti che sono stati formulati attraverso belle parole altisonanti, ma povere di significato.
L’economista, professore, nonché collaboratore con ilSole24Ore ha incentrato il suo ragionamento da un assunto di partenza: occorre trovare il modo per trasformare l’economia da indecente a decente. L’economia attuale lede la dignità delle persone e non parte dal presupposto che l’essere umano debba esserne il fulcro. Solo l’homo oeconomicus ha diritto ad essere accolto nell’impianto del pensiero economico. L’economia, inoltre, vorrebbe ambire allo status di scienza, ma mentre la fisica con sole tre leggi è in grado di spiegare il 99% delle cose, l’economia con 99 leggi non è in grado di spiegare il 3% delle cose.
Su questi punti il professor Maggio ha indubbiamente ragione: nell’era dei voucher e del lavoro precario rispunta il lavoro sottopagato a cottimo (si veda Foodora a Torino) e tutte le previsioni “scientifiche” e catastrofiste di economisti su Brexit o sul referendum costituzionale italiano si sono rivelate un buco nell’acqua.
L’economia capitalista (questo aggettivo è stato poco utilizzato durante la serata) decisamente offende la dignità dell’essere umano, ma non si capisce in tutto questo dove stia la novità. Il professor Maggio avrebbe potuto spiegarci più nel dettaglio come uscire da questa situazione di “economia indecente”, ma solo pochi suggerimenti sono stati avanzati, alcuni dei quali decisamente opinabili.
Maggio, tra le tante misure da poter attuare, suggerisce un ricambio maggiore e più rapido ai vertici dei centri di potere economico. Direttori di banche o di cooperative che siedono al loro posto da più di vent’anni incancreniscono l’economia, rendendola utile solo a coloro che già ne beneficiano. «Lo stesso direttore del Sole24Ore sfiduciato dalla sua stessa redazione che rimane al suo posto ne è un chiaro esempio».
Maggio ha poi parlato di “giusto profitto”, ovvero un profitto che non produca diseguaglianza. Che le due parole possano andare d’accordo si può essere ragionevolmente dubbiosi. L’Olivetti ha sicuramente accolto questa visione, ma l’impegno di un imprenditore illuminato non può certamente sostituire una deformazione congenita al tipo di economia nella quale ci troviamo.
Sino a questo punto si sarebbe potuto essere tentati di chiudere un occhio e considerare queste proposte come piccoli passi verso un’economia meno invadente e prepotente, se non fosse stato per un’idea avanzata di lì a poco e a dir poco preoccupante.
«L’economia» ha detto Maggio «dovrebbe farsi carico della dignità delle persone, magari occupandosi direttamente del welfare». In altre parole le aziende dovrebbero assumersi la responsabilità di gestire i loro ricavi e profitti al servizio di scuole, asili, sanità ecc. Ma come è possibile avanzare l’idea che la stessa economia che ci ha condannati alla crisi del 2008 possa risultare affidabile per gestire servizi sociali fondamentali per la vita delle persone? Le aziende aprono e chiudono, delocalizzano e spostano capitali: di conseguenza si dovrebbe delocalizzare anche il welfare? E come può questa soluzione risolvere il grave problema della diseguaglianza se un meccanismo così pensato andrebbe a vantaggio di quei territori già sufficientemente ricchi? Se ho avuto la fortuna di nascere in una zona ricca di aziende in buona condizione avrò a mia disposizione un welfare altrettanto benefico, ma se disgraziatamente sono nato in un territorio povero? Sarò condannato ad un welfare scadente.
Sul finire della serata un signore dal pubblico ha poi posto un quesito interessante: questo libro parla di “crescita”, ma sia che si voglia affrontare la questione dal punto di vista della teoria liberista che di quella socialista, l’aumento della ricchezza ne rimane un punto fermo. Ciò, tuttavia, come può essere conciliato col fatto che la “crescita” produce rifiuti, scarti e sottrae prepotentemente risorse ad un pianeta già sufficientemente sfruttato?
Questa domanda avrebbe potuto accendere una discussione tra “crescita” e “decrescita” (tema assente dal nostro territorio, non seguito nemmeno dall’Ivrea5Stelle), ma nulla di tutto ciò è stato e il professore si è limitato a rispondere facendo appello ad un vago senso dell’equilibrio.
Sarà proprio vero che “un economista è un uomo che esprime l’ovvio in termini di incomprensibilità”.
Andrea Bertolino