Lo sterminio dei rom nei campi di concentramento
Sono rimasto in bilico / sulla lama di un coltello / Sono rimasto gelato come la pietra. / Il mio cuore tremò / son caduto sul filo del coltello / M’è rimasta la mano destra / e l’occhio sinistro / ho versato lacrime / ad Auschwitz dove sono rimasti gli Zingari / La lacrima è scesa / la mano ha preso la penna / per scrivere parole qualunque. (Rasim Sejdic).
Il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’Armata Rossa (e non gli americani, come afferma Roberto Benigni in “La vita è bella”) entravano nel campo di concentramento e sterminio di Auschwitz nella Polonia meridionale, liberando i pochi prigionieri sopravvissuti ai nazisti.
Non solo gli ebrei furono vittime dell’orrore; insieme a loro prigionieri politici, omosessuali, disabili, malati di mente. E zingari. Furono 500.000 i rom sterminati dai nazisti.
In alcuni paesi fu eliminata oltre l’80% della popolazione rom: morirono 15.000 dei 20.000 zingari tedeschi, in Croazia ne furono uccisi 28.000 (ne sopravvivono solo 500), in Belgio 500 su 600 ed in Lituania, Lussemburgo, Olanda e Belgio lo sterminio fu totale.
La maggior parte dei rom polacchi fu trucidata sul posto dalla Gestapo e dalle milizie fasciste ucraine, le quali, in molti casi, uccidevano i bambini fracassando le loro teste contro gli alberi. Le testimonianze raccolte dalla Karpati sui crimini dei fascisti croati (gli ustascia) sono altrettanto aggancianti: donne incinta sventrate o a cui venivano tagliati i seni, neonati infilzati con le baionette, decapitazioni, ed altri orrori ancora. Per tali motivi i rom sloveni e croati oltrepassavano clandestinamente il confine con l’Italia, ma finivano in uno dei 23 campi di prigionia loro riservati e sparpagliati sull’intera penisola.
I nazisti, ossessionati com’erano dalla presunta razza ariana, si erano interessati ai rom a causa della loro origine indiana. Li classificarono in quattro categorie, secondo il loro grado di «purezza» o «incrocio» con i non rom. Alla fine ritennero che tutti rom, puri o impuri che fossero, erano «asociali». Da qui la decisione della loro eliminazione. I bimbi rom (ed ebrei) deportati nei campi di sterminio erano vittime di esperimenti sadici: iniezione d’inchiostro negli occhi; fratture delle ginocchia, per poi iniettare nelle ferite ancora fresche i virus della malaria, del vaiolo e di altro ancora.
Anche in Italia, con “il manifesto della razza” del 1940, l’antropologo fascista Guido Landra, inveiva contro «il pericolo dell’incrocio con gli zingari» che definiva randagi e anti-sociali. Ma già nel 1927 il Ministero dell’interno emanava direttive ai prefetti per «epurare il territorio nazionale» dagli zingari e «colpire nel suo fulcro l’organismo zingaresco».
Nei 23 campi in Italia le condizioni di vita erano molto dure.
Per i rom italiani (a causa della leva obbligatoria gli uomini avevano servito nell’esercito durante la grande guerra o nelle colonie) l’essere rinchiusi nei campi di prigionia, non per aver commesso un reato, ma per la loro identità, fu uno shock.
Oggi il 60-70% dei Rom e dei Sinti presenti in Italia sono italiani da secoli e sono per lo più sedentari. Molti di quelli fuggiti allora dai campi si unirono alle formazioni partigiane e che alcuni di essi furono fucilati dai fascisti.
Eppure il Parlamento italiano ha approvato nel 1999 la legge sulle minoranze storiche linguistiche (riconoscendone 12) solo dopo aver stralciato l’inserimento delle comunità rom e sinti, tra le più antiche d’Italia.
La Legge 20 luglio 2000 sulla «memoria», parla si di olocausto ma non di rom.
Il 2 agosto 1944 tutti i 2.897 rom dello Zigeunerlager di Auschwitz-Birkenau furono inghiottiti nei forni crematori; forse si trattò di una punizione, poiché pochi mesi primi, armati di mazze e pietre, i rom si ribellarono, mettendo in fuga i nazisti.
Il 15 aprile del 2015, il Parlamento Europeo ha votato una risoluzione per adottare il 2 agosto come “giornata europea della commemorazione dell’olocausto dei rom”.
Simonetta Valenti