Il racconto di una chiusura di anno scolastico anomala, senza bimbi. La chiusura di un’aula rimasta come sotto incantesimo dal febbraio scorso. La speranza di riaprire tante aule, ma l’incertezza è grande. La scuola non è stata finora fra le priorità di chi guida il paese.
Primi di giugno.
La nostra aula è al secondo piano.
Un silenzio surreale mi accompagna fino alla porta. La scritta in rosso, con i cuoricini, “CLASSE 2°”.
Lo sguardo si apre su ventiquattro piccoli banchi, la cattedra, i cartelloni alle pareti. Sotto i banchi libri, disegni incominciati e mai finiti, bigliettini spiegazzati.
Su uno dei davanzali, il nostro barattolo delle emozioni, su un altro la scatola degli oggetti smarriti.
Appeso ad un gancio, un asciugamano solitario dimenticato in classe.
Alle finestre, maschere di carnevale e grossi coriandoli di carta colorati.
Svuoto i banchi.
In ogni sacchetto metto quegli oggetti quotidiani, semplici e preziosi: il disegno non finito, il messaggio ricevuto scritto in stampatello, quel libro della biblioteca di classe da cui era difficile staccarsi. Ci infilo anche la gomma consumata, il pennarello senza tappo, il pezzo di lego conservato, e poi il libro sui dinosauri e sui mostri portato da casa da mostrare ai compagni, il pacchetto di fazzoletti già iniziato, le carte di UNO usate durante l’intervallo.
Ho finito.
Su ogni banco un sacchetto col nome, scritto col pennarello indelebile.
Mi fermo sulla porta, i miei occhi percorrono l’aula.
Il nostro spazio, il nostro tempo.
E vedo sorrisi e musetti imbronciati, abbracci, lacrime, carezze, dita nel naso e mani alzate, cerotti, trenini interminabili di lego e case fatte di carta, origami e lavoretti.
E sento voci, discussioni, liti per la proprietà di una matita, chiacchiere, domande e barzellette, gare di tabelline e di mesi dell’anno, medaglie, lavoretti, parole sillabate e letture, pensieri ed emozioni.
Ecco! Prima di andare faccio delle foto…sì…così poi le invio ai bambini. Ma no. Forse è meglio di no. Abbasso il cellulare.
Chiudo la porta con la scritta in rosso.
In un silenzio surreale scendo le scale addobbate di stelle filanti e maschere, ai primi di giugno.
Giovanna Mazza – maestra