Continua la sperimentazione di educazione all’aperto in due scuole materne di Ivrea
“Ivrea riapre le scuole“, “Riaprono in via sperimentale due asili“, “Il Comune lancia la scuola all’aperto“. Questi e altri i titoli che campeggiavano nella giornata di lunedì 25 maggio su alcuni quotidiani nazionali. Insieme a un servizio al TG regionale, SKY 24 e altre e un accenno (immancabile) alla “chiusura di un cerchio ideale” nella città dove, per volere di Adriano Olivetti, nasceva nel lontano 1941 il primo nido aziendale. La realtà, ridimensionata, ma non per questo meno interessante e foriera di speranza è l’inizio di una fase di sperimentazione della cosiddetta Educazione all’aperto, più nota come Outdoor Education, un orientamento pedagogico che valorizza al massimo le opportunità dello star fuori (out-door) e del concepire l’ambiente esterno in sé come luogo di formazione. Nata in Germania e diffusa in particolare nel nord Europa questo insieme di pratiche educative si basa sull’utilizzo dell’ambiente naturale come spazio privilegiato per le esperienze e per l’educazione. Insomma, è l’ambiente esterno ad assumere la valenza di un contesto educante, dove si apprende, si rafforza il senso di rispetto per l’ambiente naturale e si potenziano le competenze affettive, sociali, espressive e motorie.
“Troverai più cose nei boschi che nei libri. Gli alberi e i sassi ti insegneranno cose che nessun uomo ti potrà dire” (Bernard di Clairvaux)
Un bel punto di partenza per immaginare una Fase2 Coronavirus a misura di bambino e che vada oltre l’urgenza (innegabile, ma insufficiente) del rientro al lavoro dei genitori o la permanenza di uno o entrambi in smart working. Nasce da qui l’idea di sperimentare per quattro giorni la riapertura di due spazi in città rivolti ai bambini e alle bambine del territorio di età compresa tra i tre e i sei anni. Capofila dell’iniziativa il Servizio Istruzione e Servizi Educativi del Comune di Ivrea (coadiuvato dalla Cooperativa Alce Rosso, appaltatrice della maggior parte dei servizi del settore). Il tutto, nel pieno rispetto dell’ultimo DPCM dello scorso 17 maggio che consente ai minori l’accesso ad aree gioco poste all’interno di parchi e giardini pubblici per lo svolgimento di attività all’aperto, in conformità ai protocolli di sicurezza. “Abbiamo finalmente potuto rispondere al desiderio e al bisogno di bambini e bambine (da quasi tre mesi chiusi in casa) di uscire all’aperto, stare insieme, giocare – ci ha raccontato il Responsabile dei Servizi Istruzione e Politiche Sociali Giovanni Repetto – e, contemporaneamente, venire incontro ai bisogni di quelle famiglie i cui componenti hanno ripreso il lavoro”. Improvvisamente diventati invisibili i piccoli sono portatori sani di un disagio profondo che in questi ultimi mesi ha tolto loro diritti fondamentali, quali vedere gli amici, giocare, correre, muoversi, emozionarsi. La sperimentazione è iniziata martedì 26 e terminata venerdì 29 maggio; i risultati più che confortanti hanno portato alla decisione di prolungare l’offerta fino al 12 giugno, aumentando il numero delle famiglie beneficiarie. Dal lunedì successivo dovrebbe iniziare il Centro Estivo, di cui daremo notizia nei prossimi articoli. Due le scuole materne scelte per la sperimentazione: Sant’Antonio e Don Milani e venti i bambini coinvolti, suddivisi nelle due strutture. Sei le educatrici impegnate con i bambini, con un rapporto educatrice/bambini decisamente alto. L’orario è compreso tra le 8 e le 13, con ingressi e uscite scaglionate e la possibilità di consumare a metà mattina uno spuntino portato da casa. Tutte le famiglie del territorio, con all’interno bambini dai tre ai sei anni, sono state informate dell’opportunità; trenta le richieste inviate e venti, inizialmente, i bambini accettati. Un numero ovviamente esiguo, una piccola realtà, una microcomunità che offra, insieme, sicurezza e qualità pedagogica. Primi a essere accettati i bambini i cui genitori abbiano dovuto entrambi riprendere il lavoro e, a seguire, i nuclei dove un genitore o entrambi lavorino da casa (smart working). Molto, moltissimo il lavoro necessario per garantire alle famiglie il rispetto di tutte le norme di sicurezza.
La sfida delle educatrici
Ed è sicuramente alle educatrici che tocca il compito più difficile (ma che bella sfida!): quello di ripensare completamente l’attività educativa, ogni gesto, ogni dinamica consolidata.
Si tratta di sostituire l’insostituibile. Una maestra può avere più braccia di un polipo quando si tratta di consolare, accogliere, ritrovare, curare. Distanza è un termine che proprio non trova posto, un ossimoro. Come si fa a camuffare obblighi, regole, restrizioni in giochi? Che scuola è quella che cancella l’idea di comunità, di gruppo, come si fa a insegnare a diventare grandi senza prendere per mano? A imparare a stare insieme, a rispettare, a chiedere scusa, se si deve fare attenzione a non stare troppo vicini? Occorre partire da bisogni innegabili e da una situazione innaturale e mettere in campo vecchie e nuove idee ed energie, con l’obiettivo di preservare la ricchezza più grande di una comunità: bambini e bambini, per l’appunto, unici garanti della speranza di futuro.
Simonetta Valenti