Capodanno 16: stesso luogo, stessa ora; Castelldefels (Spagna), 31.12.16
Quest’anno a quest’ora il tramonto è azzurro scuro ma un rosso-arancio pallido colora l’orizzonte. Un cielo terso e limpido fa da fondale ad ogni cosa. Ogni anno alla stessa ora il cielo è diverso: quest’anno a quest’ora, a sud-ovest, la luna crescente, ancora alta sopra l’orizzonte, mostra il suo falcetto luminoso e brillante appena nato; è un falcetto che accoglie come in un abbraccio fulgente il resto della sfera. Più alta ancora e più a sinistra, Venere splendente la guarda. Non ci sono ancora stelle. Venere e la Luna, sole nel cielo, sono in congiunzione; mai come oggi viene in mente l’enigmatico verso di Galileo: “Cintiae figuras emulatur mater amorum” – “Venere, la madre degli amori, emula le figure di Cinzia, la Luna”.
Non fa freddo, la brezza è leggera. Nonostante la strada incroci sui viadotti la ferrovia e le due trafficate autostrade, tutto appare pacifico e silenzioso. Lascio libera la mente. Mi viene da parlare, senza distrarmi da quanto vedo intorno, di padri e di figli e di amicizie e di amori e di eventi e desideri quotidiani ma, senza accorgermi, cado nel tranello e mi trovo a riflettere su tutt’altro. O forse no.
Mentre cammino verso il mare Venere e la Luna mi accompagnano. Scivolando sopra i pini o saltellando sopra i tetti, raggiungeranno insieme a me la spiaggia. Allontanandosi poco a poco tra di loro me le ritroverò, quando mi fermerò di fronte alle onde schiumose, sospese nel buio della notte, più vicine all’orizzonte, sopra il mare.
Sono controvoglia dentro pensieri che richiamano situazioni e parole ostili: penso ai precari pre-proletari, quei neo-schiavi ad ore, laureati o no, giovani o maturi, che ammanettati da partite IVA, voucher e lavori saltuari si aggirano, senza quasi futuro, per le fosche stanze del neo-caporalato e delle istituzioni pubbliche in cerca di qualche soldo; penso alle caste politico-sindacali pre-postdemocratiche incapaci di recuperare diritti fondamentali fino a poco fa in mano alla gente comune; penso alla velenosa e dolciastra Carità di Stato che invade ogni stanza del Potere, dimentico, costui, del suo ruolo di motore di Giustizia; penso all’obsolescenza programmata delle cose e delle situazioni ma soprattutto a quella fatta interiorizzare alle menti dall’ingegneria sociale in modo da convogliarle verso lo spreco delle risorse e verso l’inefficienza; penso alla post-verità mendace che inquina i media, fedeli non alla complessa opinione pubblica ma all’autoreferenziale e inquinante opinione pubblicata; penso… penso… le parole ostili rombano come droni indesiderati che volano minacciosi nel cielo di un incubo.
Adesso sto percorrendo i duecento passi che, sulla sabbia fresca e pulita, mi separano dall’acqua. Guardo Venere e la Luna, ferme dentro il blu oltremare del cielo. La lunga e larga spiaggia è buia e deserta. Immergo le mani nella schiuma. Le onde sempre imprevedibili mi bagnano le scarpe. Scrivo il pensiero segreto sulla sabbia e ritornano accoglienti in mente padri e figli e amicizie e amori e desideri. Guardo speranzoso verso ovest: è bella la notte e domani sarà di nuovo giorno.
Paco Domene