Nonostante (o forse sarebbe meglio “grazie a”) il coronavirus il settore della grande distribuzione e dell’industria agroalimentare si rafforzano, mentre le “economie” alternative stanno subendo un duro colpo. Eppure, se riconosciamo che una delle cause del propagarsi del virus è dovuta al nostro impatto ambientale e ai nostri stili di consumo dovremmo cercare di difendere le filiere locali
Ormai da settimane, oltre ad aver tutti imparato cos’è il codice Ateco, sappiamo che tra le attività che possono continuare a restare aperte, prime fra tutte, ci sono quelle che producono e distribuiscono beni alimentari, perché, appunto, sono beni necessari. Ma proprio tutte queste attività stanno continuando a lavorare? No, non è così. Il settore agricolo sta vivendo una crisi che rischia di metterlo in ginocchio: manca manodopera nei campi, settore notoriamente coperto da braccianti stagionali perlopiù stranieri (qualche testata giornalistica ha riportato della necessità di regolarizzare i migranti facenti parte della categoria affinché possano lavorare). Molti produttori raccontano che tutto quel mercato alternativo che cominciava a fiorire è stato bloccato. Mercati contadini, vendita diretta, gruppi d’acquisto, un settore che costituiva un’alternativa ecologicamente più sostenibile alla grande distribuzione e alla produzione agricola industriale, si trova in stallo. L’Associazione Rurale Italiana (Ari) sta facendo proposte molto concrete e chiede alla politica di intervenire, Fabrizio Garbarino, presidente di Ari, in una recente intervista ha detto: «In queste settimane abbiamo avuto l’ennesima riprova del peso dominante dell’agroindustria nelle politiche del Governo. Salvo rare, ma importanti eccezioni, come la riapertura della vendita al dettaglio nel settore vivaistico, l’unica preoccupazione della Ministra Bellanova è stata quella di spianare la strada all’industria agroalimentare e della distribuzione per la loro riorganizzazione, come se fosse l’unico attore degno di nota della filiera del cibo».
L’Italia non può permettersi la distruzione delle piccole aziende agricole, presidio di territori rurali, oltre che uniche realtà in grado di garantire una produzione alimentare eco-sostenibile.
Qualche giorno fa sui social circolava una vignetta che si riferiva al noto paradosso noto come “il gatto di Schrödinger”(un esperimento mentale ideato nel 1935 dal fisico Erwin Schrödinger, nel quale un gatto, in uno stato noto come sovrapposizione quantistica, può essere contemporaneamente sia vivo che morto), applicandolo al virus e al fatto che noi potremmo essere contemporaneamente sia sani che malati senza sintomi. Ecco, possiamo dire che il tema del cibo che ci è concesso mangiare in questo periodo di restrizioni contiene un paradosso simile: partendo dal concetto di spillover (il passaggio di un patogeno da una specie ospite all’altra), David Quammen, divulgatore scientifico di chiara fama e molti altri scienziati ci hanno ormai ampiamente spiegato che la causa di questo “salto”, sia nel caso del virus Sars-CoV-2 sia in altri casi, è stato possibile grazie alla rottura di equilibri ambientali da parte dell’uomo, cioè a comportamenti che hanno cambiato l’habitat di intere specie animali, portandole a più stretto contatto con l’uomo. Ed ora, invece di porvi rimedio con un diverso “salto”, un salto di logica, stiamo invece dando ampio spazio di manovra alle grandi distribuzioni, prime responsabili dei fattori scatenanti della situazione attuale.
Dunque non ci è possibile, oggi, scegliere a quale cibo poter accedere. Siamo tutti costretti a fare la fila al supermercato per acquistare verdura che arriva da chissà dove, coltivata chissà come. Ci è consentito scegliere se vogliamo quella italiana o estera, ma sempre di grandi coltivazioni si tratta. Ed è davvero incredibile che tutto ciò avvenga in nome della salvaguardia della nostra salute. Gli effetti del cibo sul nostro organismo e sull’incidenza di certe patologie non viene quasi mai tenuta in considerazione, eppure da una cattiva alimentazione, sappiamo dipendono parecchie delle nostre malattie cardiovascolari, al sistema immunitario, al sistema respiratorio, ecc. E una cattiva alimentazione non è soltanto mangiare troppi dolci o bere bevande gassate. Una cattiva alimentazione è anche mangiare frutta e verdura coltivata usando troppi agenti chimici, oppure carne che arriva da animali allevati intensivamente, a cui vengono somministrati farmaci e steroidi che ne velocizzano la crescita. Tutti questi cibi influiscono ad indebolire il nostro sistema immunitario e a renderci più esposti ad attacchi esterni, quali i virus tanto temuti, di cui stiamo diventando esperti (a tal proposito si vedano gli studi della dott.ssa russa Catherine Kousmine 1904-1992, che studiò l’alimentazione come terapia per ristabilire l’equilibrio sanitario minacciato o distrutto dagli alimenti tossici e inquinanti presenti nel mondo moderno).
In questi ultimi giorni è partita una campagna di solidarietà alimentare per le famiglie bisognose, patrocinata da Croce Rosse e Caritas a cui tantissime associazioni del territorio stanno via via aderendo. La campagna prevede anche l’adesione di alcuni supermercati, fuori dai quali ci saranno dei volontari a cui consegnare del cibo acquistato in più, da donare a chi lo necessita. Il cibo verrà distribuito dalla Caritas. E’ una iniziativa assolutamente lodevole a cui davvero tutti dovremmo partecipare, ognuno nelle proprie possibilità.
Ma in questo frangente si rende necessario affrontare un problema ulteriore alla necessità di cibo per tutti, il problema legato alla qualità del cibo che mangiamo, un tema che andrebbe discusso e che meriterebbe molto spazio nel dibattito attuale sulla salute, alla quale sembriamo così tanto interessati (finalmente). A questo hanno pensato la Cooperativa ZAC! e l’associazione Ecoredia, che gestisce il GAS (gruppo di acquisto solidale) del territorio, aderendo alla campagna di solidarietà alimentare con una piccola aggiunta: aprire una raccolta fondi per sostenere le attività della Caritas e della Croce Rossa e allo stesso tempo le aziende locali della nostra economia solidale, affinché i loro prodotti possano trovare posto nelle cassette solidali. Chi è socio può acquistare dei buoni spesa presso i produttori locali da cui solitamente si rifornisce, chi non è socio ma sente di voler aderire alla campagna per acquistare cibo di qualità, può fare una donazione sul conto IT49I0853030540000750100644, intestato a cooperativa sociale ZAC! Zone Attive di Cittadinanza, con causale “erogazione liberale Solidarietà Alimentare”. Perché un cibo sano e giusto è un diritto di tutti.
Lisa Gino