Dobbiamo pensare al futuro. Non uno qualsiasi, ma un futuro legato alla possibile evoluzione dell’emergenza che stiamo vivendo e che sia anche un futuro desiderabile e sostenibile
Quali principi guida possiamo usare per progettare questo futuro?
1. Pensiamo alla scienza delle reti
I virus ci stanno insegnando che tutto è connesso con tutto. Connesso come?
La scienza delle reti (costituite da nodi e connessioni) e lo studio dei sistemi complessi dimostrano che in natura la topologia delle reti non si sviluppa casualmente. I nodi di una rete, di una qualsiasi rete, non si collegano in modo casuale (parte sinistra della fig.1) ma si collegano in modo “distribuito”: pochi nodi hanno molte connessioni e molti nodi hanno poche connessioni (parte destra della fig.1).
La cosa più affascinante è che questo è vero non solo per le reti artificiali (ad es. la rete che connette le persone con i messaggi di posta elettronica, le stazioni della metropolitana con i viaggi delle persone, i server del Web con le linee che li collegano, gli utenti di twitter con le connessioni dei follower, cioè un social network (vedi fig.2) ), ma anche per le reti naturali come la rete delle proteine del lievito (vedi fig.3).
2. Progettare comunità resilienti
Cosa possiamo imparare da questo? Emerge anche in questi giorni una forma di polarizzazione tra “sovranismo” e “multilateralismo”, tra “locale” e “globale”, tra chi sostiene che bisogna tornare a pensare entro i propri confini, e chi invece propone di lanciare progetti senza confini. E se fosse necessario progettare a tutti e due i livelli? … “pensare globalmente, agire localmente”? Come suggerivano le persone sensibili alle questioni ambientali negli anni ’70 del secolo scorso?
Nella storia c’è sempre stata questa tensione tra chi pensa in termini di “stato-nazione” e chi invece vede la necessità di creare un sistema complesso globale e resiliente, una “social catena” globale (Leopardi, 1834), un’utopia necessaria. Nella conferenza di Dumbarton Oaks nel 1944 vinsero gli utopisti e nacque l’ONU (Schlesinger, 2003). Dal 1989 l’umanità sembra prigioniera di un “eterno presente”. Oggi invece abbiamo un fortissimo bisogno di utopisti, persone in grado di pensare il futuro. Esempi: Adriano Olivetti (1901-1960) che negli anni ’50 del secolo scorso intravedeva la necessità di coniugare innovazione tecnologica e giustizia sociale; Aurelio Peccei (1908-1984) che nel 1968 fondò il Club di Roma evidenziando che il modello di crescita attuale è insostenibile per il pianeta.
Forse, in futuro quando progetteremo, dovremo tenere presente come evolvono i sistemi complessi e le reti. L’obiettivo dovrà essere quello di aumentare la resilienza, la “messa in sicurezza” di ciò che progettiamo.
Se il nodo di una rete è una comunità (Olivetti, 1945) (ad esempio una valle dell’interno delle Marche, l’anfiteatro morenico di Ivrea, una bio-regione in generale), allora questo nodo avrà al suo interno molte connessioni tra le persone, le imprese e le amministrazioni locali, ma sicuramente questa comunità non potrà essere completamente autosufficiente e in alcune fasi dovrà risalire ai nodi del livello superiore per connettersi al resto del mondo. Oppure, in casi di emergenza come quello che stiamo vivendo, per disconnettersi dal resto del mondo.
In fondo è proprio questo che ha permesso alla rete Internet di evolvere dai quattro nodi (computer) del 1969 alla rete planetaria di oggi. L’idea di Perotto di avere tutti i componenti di un computer sulla scrivania (come la Olivetti P101, il primo personal computer della storia) in fondo era questa: avere un nodo computazionale resiliente (dotato di input, memoria, elaborazione, e output) in grado di lavorare senza più dipendere dal “centro di calcolo”. Oggi, i computer collegati ad una rete locale possono essere visti come una “comunità resiliente”, perché per molte funzioni sono autosufficienti ma nello stesso tempo sono in grado di collegarsi con il mondo. In caso di emergenza, ad esempio l’arrivo di un “virus” (informatico), la prima cosa saggia da fare è disconnettere tempestivamente la rete locale (la comunità) dalla rete di livello superiore.
Proprio questo sembra essere stato il meccanismo che ha permesso a Taiwan di superare l’emergenza coronavirus: una saggia miscela di informazione ai cittadini, partecipazione, tecnologia e organizzazione tempestiva (Wang e al., 2020).
Una comunità resiliente, soprattutto sul fronte del cibo (filiere corte, economia di prossimità) e dell’energia (comunità energetiche, smart-grid) dovrà sicuramente essere interconnessa ma nello stesso tempo avere un altissimo grado di autonomia.
La creazione di organismi al di sopra delle comunità resilienti, a livello di stato e, soprattutto in caso di emergenze come questa, a livello sovranazionale, diventa una linea guida fondamentale per il futuro.
Cosa si aspetta a creare una “unità di crisi” a livello globale appoggiandosi all’Organizzazione Mondiale della Sanità?
3. Quale infrastruttura sanitaria possiamo prevedere?
Se applichiamo il principio guida della resilienza dei sistemi complessi e delle reti, possiamo immaginare un sistema sanitario nazionale come un’infrastruttura critica essenziale per il paese, in grado di rispondere tempestivamente a sfide globali come quella che stiamo vivendo, coordinandosi a livello europeo e globale, soprattutto per la ricerca e la gestione delle emergenze planetarie. Quello che sta succedendo rinforza l’importanza della collaborazione scientifica e della condivisione della conoscenza biomedica sulle minacce globali.
Bisognerà investire le risorse necessarie per le strutture, per il personale, per il coordinamento e per esser pronti a scalare rapidamente. Il mercato, le imprese potranno fornire servizi e prodotti “al di sopra” di questa robusta infrastruttura pubblica. Non possono gestire l’infrastruttura stessa.
Forse quello che stiamo vivendo rappresenterà la fine dell’era Reagan-Thatcher. La baronessa sosteneva infatti che “la società non esiste” esistono solo gli individui (Thatcher, 1987). Oggi viene definitivamente dimostrato che l’individuo da solo, senza una “social catena” è spacciato, che settore pubblico e privato devono mettere insieme le loro forze ma distinguere le rispettive competenze. La gestione delle infrastrutture critiche deve essere pubblica, la fornitura di prodotti e servizi può essere delegata al mercato, alle imprese.
Nel settore farmaceutico diventa urgente la ridefinizione di un nuovo patto di collaborazione tra pubblico (che sviluppa la ricerca di base) e privato (industria farmaceutica che porta l’innovazione sul mercato) in modo da garantire che i nuovi farmaci, soprattutto quando l’80% dei costi di sviluppo sono pagati dai cittadini con le loro tasse, siano venduti a prezzi accessibili (Mazzucato e al., 2020).
D’altra parte emerge in questi giorni anche la necessità di rivedere la diffusione sul territorio di presidi sanitari di prossimità, lo sviluppo della telemedicina e le tecnologie connesse. Proprio per aumentare la resilienza delle comunità la telemedicina rappresenterà uno dei settori da sviluppare nel prossimo futuro. Team di assistenza domiciliare, insieme alle persone a casa, dovranno dotarsi di apparecchiature “leggere” (glucosimetro per il glucosio nel sangue, saturimetro per l’ossigeno nel sangue e la frequenza cardiaca, spirometro per i volumi polmonari, misuratori della pressione, del peso, etc.) per misurare le grandezze fisiche più importanti e connettersi al primo nodo della rete di comunità ed eventualmente scalare al livello superiore.
Una riflessione complessiva sul concetto stesso di salute: da questa esperienza del coronavirus abbiamo imparato che la salute degli umani è strettamente interconnessa con la salute degli animali e quella dell’ambiente, è la visione nota come “One Health” (WHO, 2020).
4. Un futuro “contactless”?
Come noto i virus vengono trasportati dagli umani e in questi giorni stiamo scoprendo che le tecnologie dell’informazione e le reti possono essere utili per la tracciabilità dei “trasportatori di virus”.
D’altra parte questo permette alle persone di essere prese in cura anche a distanza, anche nella loro casa, con tecnologie semplici che informano le autorità sugli spostamenti. Se la persona viene informata su finalità e durata della misura, contenuto dei dati, loro destinazione e sicurezza, il tutto concordato con le autorità sulla privacy, allora le tecnologie possono essere utili a tracciare il trasporto del virus (PI, 2020), a ricostruire le reti del contagio per contenerle e disconnetterle.
D’altra parte stiamo sperimentando un modello di vita senza contatti, “contactless”, forse ci stiamo preparando ad un futuro dove la maggior parte delle attività sarà “da remoto”? Ove possibile, il lavoro a distanza diventa la norma, ma nello stesso tempo ci sarà bisogno di maggiore assistenza. Uno dei nuovi lavori protrebbe essere proprio il “computerista”, la persona che fornisce servizi di assistenza a domicilio sui problemi (e sono tanti!) dei computer e delle reti. Come pure diventa critica la logistica sostenibile: nelle comunità resilienti diventerà importante avere veicoli elettrici per le consegne finali. Le catene di fornitura diventeranno un po’ meno globali ma più resilienti, però non possiamo più pensare che “altre comunità remote” producano per noi in condizioni inaccettabili. Chi acquista dovrà anche accettare di pagare il giusto prezzo.
Norberto Patrignani
Riferimenti
– Barabasi, A,L.(2020). Network Science.
– Jeong, H., Mason, S.P., Barabasi, A.L., Oltvai, Z. (2001, June). Lethality and Centrality in Protein Networks. Nature.
– Leopardi, G. (1836). La ginestra, o fiore del deserto. Canti.
– Martin, G. (2014). La connaissance est un réseau. Les Cahiers du Numérique, 10 (3): 37-54.
– Mazzucato, M., Momenghalibaf, A. (2020, 18 Marzo), Drug Companies Will Make a Killing From Coronavirus. New York Times.
– Olivetti, A. (1945). L’ordine politico delle comunità. Nuove Edizioni Ivrea.
– PI (2020, 24 Marzo). Ancora privacy e coronavirus. Privacy Italiana.
– Thatcher, M. (1987). Interview for Woman’s Own (“no such thing as society”). Thatcher Foundation.
– Wang, C.J., Ng, C.Y., Brook, R.H. (2020, 3 Marzo). Response to COVID-19 in Taiwan. Big Data Analytics, New Technology, and Proactive Testing. Jama Network.
– WHO (2020). World Health Organization, One Health.