No, non avete sbagliato rubrica, non è la nuova “Contromedicina”, ma la solita banale “Contronatura”.
Neppure lo scrivente si è recentemente laureato in medicina, anche se ne avrebbe tutte le possibilità in virtù delle sue elevate capacità intellettive (altra mia dote riconosciuta è la modestia!). Non vi voglio, dunque narrare le ultime novità scientifiche in campo oncologico o proporvi alternativi rimedi, miracolosi quanto inutili, come i vari insensati metodi pseudoscientifici proposti negli anni da personaggi a volte truffaldini o francamente profittatori del dolore altrui, altre da scienziati sinceramente convinti nel loro errare (vedi il caso Di Bella). Comunque sia, se il vostro interesse verte sulla patologia oncologica, avete sbagliato articolo, non proseguite, ma rivolgetevi ad uno specialista. Ciò che mi interessa disquisire è l’utilizzo dei due termini che compongono il titolo e quali differenze sostanziali vi siano in riferimento al contesto in cui ricorrono. In medicina il lemma cancro è attribuito a una neoplasia maligna che ha la tendenza a diffondersi rapidamente sia per infiltrazione locale sia per via linfatica e venosa; è usato genericamente per indicare un tumore molto aggressivo. Deriva dal latino cancer (granchio) per le ramificazioni del tumore, confrontate con le zampe del granchio. Tumore deriva dal latino tumor (rigonfiamento) e indica, in patologia, «una massa di tessuto che cresce in eccesso ed in modo scoordinato rispetto ai tessuti normali, e che persiste in questo stato dopo la cessazione degli stimoli che hanno indotto il processo», come chiarisce la definizione coniata dall’oncologo R.A. Willis, accettata a livello internazionale. Oggi si preferisce utilizzare il termine neoplasia, cioè neoformazione. Quindi “tumore” è termine generico che si applica indifferentemente alle neoplasie benigne e maligne mentre “cancro” è vocabolo più specifico, descrive una neoplasia maligna che si è diffusa nell’organismo provocando metastasi. Per cui la corrispondenza non è biunivoca: un cancro può derivare da un tumore, ma non viceversa. Questa confusione terminologica crea spesso incomprensioni deleterie nei rapporti medico/paziente. Nel parlar comune i due vocaboli sono spesso utilizzati come sinonimi e variamente coniugati; anzi frequentemente negati, per esorcizzare il timore che c’incutono, utilizzando perifrasi capziose quali: “brutta malattia”, “male incurabile”, “male che non perdona”…
Ma vediamo come le due parole sono coniugate in fitopatologia (scienza che studia le malattie delle piante)
Per cancro s’intende una degradazione corticale degli organi legnosi che conduce alla necrosi dei tessuti; sono comuni i cancri rameali provocati da funghi e batteri e il più famoso è il cancro corticale del castagno provocato da un fungo (Cryphonectria parasitica) che affligge praticamente tutti i nostri castagni facendoli vivere stentatamente. Per tumore s’intende una tumefazione su tronco o rami provocata da traumi che scatenano una reazione proliferativa dei tessuti o dall’infezione del comune batterio Agrobacterium tumefaciens. Quali dunque le differenze nell’utilizzo dei due termini tra patologia umana e fitopatologia? Innanzitutto conosciamo con precisione l’eziologia (scienza che studia le cause di un fenomeno) di cancri e tumori vegetali mentre non è lo stesso per le patologie oncologiche; sappiamo che nelle piante sono funghi e batteri a provocare tali malattie e sappiamo anche come curarle e prevenirle, magari avvenisse anche in campo medico! Mentre in patologia umana spesso i termini sono sinonimizzati poiché è norma che un cancro origini da una proliferazione cellulare incontrollata (cioè una tumefazione ovvero un tumore), in patologia vegetale le due definizioni non sono sinonimizzabili, descrivono patologie diverse non correlate e non originantisi l’una dall’altra. Vogliamo dire che la terminologia fitopatologica sia più precisa? O, soprattutto, che non ci riguardi personalmente e perciò eviti approssimazioni e pudori del gergo parlato? In effetti, nessuno mi ha mai comunicato che la sua dracena casalinga avesse un cancro rameale o che il ciliegio nel giardino fosse affetto da tumore.
La mia considerazione finale è un po’ amarognola: in caso di “brutte malattie” è meglio essere una pianta! Io opterei per un carpino e voi?
Diego Marra