Non ammesso dalla Corte Costituzionale il quesito sull’articolo 18, restano i referendum sui voucher e sulle responsabilità negli appalti
La Corte costituzionale ha ammesso i referendum su due quesiti proposti da oltre un milione di firme raccolte dalla CGIL – quello che vuole cancellare i voucher e quello che vuole ripristinare la responsabilità in solido tra appaltatore e appaltante – ma, ha dichiarato inammissibile (pare con minimo margine e un assente) il quesito più atteso, quello sul cuore della riforma renziana del mercato del lavoro, il «Jobs act», e cioè sul decreto legislativo che nel marzo 2015 ha introdotto la libertà di licenziamento, cancellando l’obbligo per il datore di lavoro di reintegrare il dipendente in caso di licenziamento ingiustificato.
“Parte ora la campagna referendaria e da oggi chiederemo tutti i giorni al Governo di fissare la data in cui si voterà per referendum su voucher e appalti”. Così il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso nel corso di una conferenza stampa l’11 gennaio promossa dalla Confederazione sindacale dopo la decisione della Consulta. Per Camusso, quello dei voucher è uno strumento “malato” e bisognerebbe avere il coraggio di “azzerarlo. Ci vuole – ha detto – una riforma per una contrattualizzazione pulita e esplicita che regolamenti il lavoro occasionale”.
Sul tema degli appalti, Camusso ha sottolineato “riguarda milioni di lavoratori nel nostro Paese: non stiamo parlando di un fenomeno marginale come qualcuno ha sostenuto”.
Infine, in merito al quesito sull’articolo 18, che non è stato ammesso dai giudici costituzionali, la segretaria della CGIL ha ribadito “ci riserviamo ulteriori valutazioni quando saranno rese note le motivazioni della Corte”, dicendosi convinta di aver rispettato l’art.75 della Costituzione, motivo per cui “continueremo la nostra iniziativa e valuteremo nei prossimi giorni tutte le possibilità per ristabilire i diritti, compreso il ricorso alla Corte Europea”.
Le motivazioni della decisione della Corte Costituzionale arriveranno entro il 10 febbraio e, per quanto riguarda i due referendum ammessi, sono indispensabili per consentire al governo di fissare la data delle urne, tra domenica 16 aprile e domenica 11 giugno.
Qualche mese in più a disposizione tornerebbe utile al governo per far cadere anche questi due referendum, modificando la disciplina dei voucher e degli appalti. Per quanto riguarda i buoni lavoro, però, la richiesta del quesito è radicale: la cancellazione dello strumento. Se il governo si limiterà a qualche ritocco, rischierà (così com’è successo, in un caso, per le trivellazioni) che il referendum venga confermato dalla Cassazione.