Si sperava in un partner industriale e invece Manital viene venduta a un fondo finanziario, l’IGI Investimenti Group specializzato nell’acquisizione di aziende in crisi. L’operazione, della quale si sa ancora molto poco, potrebbe fornire ossigeno a Manital per qualche anno, ma il futuro rimane incerto.
La vendita di aziende a fondi finanziari è ormai un classico nel mondo delle medie-grandi imprese: quando i bilanci cominciano a tremare o quando dietro alla gestione di un’azienda non c’è un solido progetto industriale, si passa la mano a un fondo che è nato proprio per fare scouting di aziende in crisi. Ha percorso questa strada anche il fondatore e presidente di Manital Graziano Cimadom che dopo 26 anni – Manital fu da lui fondata nel 1993 a Ivrea – non vedendo più altre uscite vende al fondo IGI Investimenti. «Non si poteva fare diversamente per salvare i posti di lavoro e rilanciare l’azienda” – scrive Cimadom nella lettera ai dipendenti in cui annuncia la vendita – Sono convinto che in tal modo sarà assicurato un rilancio solido e sostenibile tale da superare anche le momentanee difficoltà finanziarie del gruppo ed avviare il riassetto industriale». Viene da obiettare che se le difficoltà finanziarie fossero state solo momentanee, forse un’altra via sarebbe stata possibile. Ma realisticamente al punto in cui si è lasciata finire Manital, con una esposizione debitoria di milioni, stipendi e fornitori non pagati, anche se con milioni di crediti dalla pubblica amministrazione, multe e investimenti discutibili, rimanevano poche alternative: far gestire l’azienda a dei commissari o venderla a un fondo che riappiana, guadagna e se ne va. Rimane il dubbio se meglio non sarebbe stata l’amministrazione straordinaria richiesta da alcuni fornitori e al vaglio del Tribunale delle imprese di Torino. In queste ore ci si chiede se questa opzione sia ancora aperta, ma nulla trapela. E’ molto probabile però che una delle prime azioni del fondo sarà quella di pagare qualche fornitore per scongiurare appunto l’amministrazione straordinaria. IGI Investimenti è già al lavoro. La direzione dell’azienda è stata immediatamente passata da Cimadom a Giuseppe Incarnato, amministratore delegato di IGI Investimenti, che sarà il nuovo presidente del consiglio di amministrazione, ed entro novembre IGI promette un piano industriale. Tutto bene quindi? Sarebbe da stolti dire di sì.
Cos’è un fondo e chi è IGI Investimenti?
Cosa sappiamo del fondo IGI Investimenti? Dal sito non si ricavano grandi informazioni, nonostante sia presente il classico “Chi siamo” con le sue belle sezioni Vision e Mission, Storia, Strategia, Organizzazione, Bilanci. Inutile sfogliare quelle pagine, in tutte c’è solo la frase “Richiedi informazioni via mail“. E se si va nella sezione “Attività” cliccando ad esempio sulla voce “Private Equity”, si legge solo “IGI INVESTIMENTI GROUP opera nel settore del private equity.” e così per tutte le altre attività. Si può parlare di non comunicazione. Solo nei Contatti si ha qualche informazione in più, l’elenco delle sedi: “Ginevra – Londra – Roma – La Valletta – San Marino”, alcune città tornano quando si parla di fondi finanziari esteri. Si arriva comunque a sapere per altre rotte di navigazione che IGI Investimenti fa parte della società di gestione risparmio IGI Private Equity Sgr che qualche informazione in più la dà sul suo sito. Nei ben sei paragrafi che descrivono la sua storia si legge che è nata nel 1998 e che “Dal 1998 al 2006, anno dell’uscita dal Gruppo Interbanca, IGI ha raccolto e gestito due fondi di investimento: IGI Investimenti e IGI Investimenti Due“. Perché raccolto? Perché IGI è un fondo private equity, cioè un fondo che “raccoglie” risparmio da privati, aziende, banche, altri fondi e altre Sgr, da investire tipicamente in start up o aziende in crisi non quotate in borsa. Aiuta a capire meglio una definizione da dizionario che descrive così il private equity: “Tecnica di investimento consistente nel finanziare una società non quotata in Borsa ma dotata di elevate potenzialità di crescita, per poi disinvestire con lo scopo di ottenere plusvalenze dalla vendita della partecipazione azionaria.”
L’apprensione e i timori dei lavoratori rimangono alti
La vendita a un fondo con il passo indietro di Cimadom (che rimarrà in azienda, dichiara, ma non è chiaro in che ruolo) non tranquillizza i lavoratori. Anzi la preoccupazione cresce perché di questa operazione, certo non nata in un giorno, i sindacati sono stati tenuti all’oscuro e tutt’ora l’azienda non dà informazioni. «Abbiamo chiesto un incontro urgente ma non abbiamo avuto risposte», informa Germana Canali, della segreteria della Filcams-Cgil. Non si sa se il fondo ha acquistato quote di maggioranza o minoranza di controllo, se verranno pagati gli stipendi dei lavoratori che aspettano da mesi, dove finiranno i Tfr, se il fondo manterrà le sedi e i posti di lavoro attuali. Da qui la preoccupazione dei lavoratori e delle lavoratrici Manital per il loro futuro. Naturalmente il nuovo presidente del board rassicura, «Penso che il gruppo Manital campione italiano del facility management con 300 milioni di ricavi e oltre 10.000 dipendenti tra diretti ed indiretti, possa rappresentare una straordinaria opportunità per consolidare la nostra presenza in Italia e, dopo la messa in sicurezza del gruppo nel contingente del periodo, assicurando i livelli occupazionali attuali, elaborare il nuovo piano industriale di rilancio che sarà presentato dalla nuova compagine entro il 30 novembre prossimo e che prevederà una spinta all’internazionalizzazione del gruppo come stanno facendo tutti gli altri player di mercato», dichiara Giuseppe Incarnato.
Ci si augura sempre di sbagliarsi in questi casi, ed è quello che tutti augurano a Manital (lunga vita!), ma l’esperienza e lo scopo proprio dei fondi chiede per lo meno di essere cauti prima di abbassare la guardia e brindare. Certo a differenza dei falsi imprenditori, qui nel territorio ne abbiamo visti parecchi, i piani dei fondi sono chiari fin da subito e hanno un traguardo più a lungo termine. Manital dovrebbe quindi avere davanti a sé alcuni anni (non ci sono le informazioni sul cosiddetto “disinvestment period”) per rimettersi in sesto e produrre utili per gli investitori, che a quel punto se ne andranno e Manital dovrà camminare con le proprie gambe, se avrà ancora la forza. E in una situazione di tessuto industriale così precaria parlare di anni sembra già una conquista. Però l’apprensione rimane, anche guardando quello che altra stampa ha portato come esempio di bontà dell’operazione Manital, l’acquisto nel 2018 di un’altra azienda del settore del global facility management, la Semitec di Terni. In un comunicato del maggio scorso la Fiom-Cgil denuncia “Sono passati circa 8 mesi dalla cessione di Semitec dal gruppo SIRAM alla IGI Investimenti ma la tanto attesa ripresa commerciale e la necessaria riorganizzazione aziendale tarda ancora a realizzarsi” e continua il comunicato “Ci auguriamo che la scelta compiuta da Siram (senza alcun confronto preventivo con le Organizzazioni sindacali, assumendosene tutta la responsabilità) nell’affidare Semitec ad IGI Investimenti non si riveli infelice” (vediamo che l’esclusione dei sindacati in queste operazioni è evidentemente una regola).
Cadigia Perini