Sedicimila euro di spese processuali a Legambiente e alla famiglia Fumero che non hanno dubbi sul messaggio che ne deriva: «ci viene impedito di svolgere il ruolo di controllo/contestazione delle scelte pubbliche»
«Fine del progetto, per quanto mi riguarda. Abbiamo speso un milione e mezzo solo per la fase progettuale. Ora va tutto in fumo». Era il 17 marzo 2017 quando Roberto Bruera, referente di Idropadana per il progetto della centrale idroelettrica del Crist, esternò questo suo pensiero dal sapore perentorio. All’epoca pendevano due ricorsi al Tribunale Superiore delle Acque di Roma (TSAP), il consiglio comunale eporediese aveva votato una mozione comunale con la quale si invitava il comune a non concedere la deroga acustica alla società per i lavori di scavo e sembrava non esserci più tempo per la produzione del primo Megawatt di energia necessario per poter accedere ai 700mila euro di contributi pubblici spalmati su vent’anni (quest’ultimo, vero spartiacque tra il fare o non fare la centrale). Già due anni fa il circolo di Legambiente, in prima linea per fermare questo progetto considerato dannoso per la salute della Dora (su cui, va ricordato, insistono, nell’arco di circa 15 km di fiume, 7 centrali operative da Quincinetto a Ivrea e un’ottava in programma a Quassolo appartenente alla società Edison) aveva mostrato cautela nel voler “cantare vittoria”, perfettamente consapevole del fatto che nessuna delle ragioni sopra elencate avrebbe impedito a Idropadana di cominciare i lavori.
Due anni dopo quella cautela merita ancora di essere esercitata e il motivo risiede nell’esito della sentenza del TSAP dello scorso 19 marzo, resa pubblica una settimana fa.
La sentenza: ambientalisti costretti a “pesanti spese processuali”
«Nello scorso 19 marzo si era svolta a Roma l’udienza del TSAP per esaminare i ricorsi presentati dalla famiglia Fumero e da Legambiente che chiedevano l’annullamento dell’autorizzazione rilasciata dalla Città Metropolitana di Torino in merito alla costruzione di una nuova centrale idroelettrica in località Crist ad Ivrea. La scorsa settimana è stata resa pubblica la sentenza e le relative motivazioni con le quali si rigettano i ricorsi e si condannano i ricorrenti a pesanti spese processuali pari a 16.000 € ciascuno». Comincia così il comunicato del circolo di Legambiente che ci tiene anche a esprimere un primo commento a caldo: «l’ammontare esorbitante delle spese processuali imputate ai ricorrenti ed in particolare ad un’associazione di volontariato senza fini di lucro ci pare costituiscano di fatto un impedimento a svolgere un ruolo di controllo/contestazione delle scelte pubbliche da parte dei cittadini. Infatti il ricorso presentato da
Legambiente è avvenuto in continuità con una forte opposizione dei cittadini di Ivrea alla realizzazione della centrale sostenuti anche dall’Associazione Pro Ambiente Quartiere Crist».
Il paradosso delle centrali idroelettriche
Non servono troppi ragionamenti o giri di parole per sostenere che questa sentenza rappresenti una sconfitta per la causa ambientalista e per i tanti cittadini che da anni si battono per la tutela delle acque territoriali; una tutela che ci si sarebbe aspettati anche da un Tribunale superiore come quello romano che invece non solo ha, de facto, dato ragione a Idropadana, ma, a detta di Legambiente, non è nemmeno entrato nel merito dei motivi di opposizione. «Le argomentazioni utilizzate dal Tribunale per respingere il ricorso non riguardano il merito tecnico con cui si era motivata l’opposizione al progetto, ma riprendono di fatto le argomentazioni contenute nella determina di approvazione rilasciata dalla Città Metropolitana» scrivono i membri dell’associazione ambientalista.
Ad aggravare una sentenza già di per sé pesante per il significato politico che comporta si aggiunge poi la condanna al pagamento delle spese processuali del tutto irragionevole e sproporzionata per un’associazione di volontariato senza scopo di lucro. Sedicimila euro rappresentano, infatti, una cifra esorbitante per un circolo territoriale che vive del contributo volontario dei membri e degli associati. Il messaggio che ne deriva è di disincentivo a svolgere il ruolo di tutela, vigilanza e controllo proprio delle associazioni di volontariato; ruolo che merita di partire dal basso, dai cittadini e che non può essere delegato completamente agli enti pubblici.
A dimostrazione dell’insufficienza del pubblico vi è, infatti, un paradosso che merita di essere portato alla luce. L’iter procedurale per poter approvare un progetto di centrale idroelettrica è sottoposto, in Italia, ad un “procedimento unico” svolto nell’ambito di una conferenza di servizi. Le centrali idroelettriche vengono considerate “di interesse pubblico” e, pertanto, la loro realizzazione viene “agevolata” dallo Stato che stanzia anche degli incentivi per la produzione delle energie rinnovabili (tra cui rientra l’idroelettrico). L’approvazione di questi progetti, tuttavia, vincola le società proponenti ad un periodo massimo di tempo per cominciare a produrre energia idroelettrica, superato il quale le società vengono poste di fronte ad una scelta: rinunciare al progetto oppure, come sovente accade, chiedere una proroga, come nel recente caso delle centrale di Edison di Quassolo che ha chiesto e visto approvare dalla Città Metropolitana una proroga.
Ed è in questo “gioco di proroghe” che si cela il paradosso: le centrali idroelettriche, di interesse pubblico, sono soggette ad un iter semplificato e accelerato, ma poi il progetto può durare anni a “suon di proroghe” nell’attesa (mai esternata, ma chiara e lampante) che vengano sbloccati dei nuovi incentivi a livello nazionale.
Queste anomalie, tuttavia, non verrebbero mai alla luce del sole se non fosse per merito di associazioni e cittadini motivati a supervisionare e controllare nell’interesse della collettività. Per questo motivo condannare un’associazione a spese insostenibili non rappresenta solo una sconfitta sul piano ambientale, ma anche sul piano del controllo democratico.
Andrea Bertolino